Dopo il buon debutto del 1995, sarcasticamente intitolato “La vita è facile”, Umberto Palazzo tornò in pista due anni dopo con quello che sarebbe dovuto essere il disco della sua consacrazione, e il cui relativo insuccesso – unito agli scazzi con il CPI - invece spinse il suo autore su un Aventino dal quale è uscito da un paio di anni, riaffermando il suo carisma in una scena italiana asfittica.
Affinando ulteriormente le taglienti lame del quartetto, ora più coeso e compatto come il nuovo nome lascia intuire, l’ex membro di Allison Run e Massimo Volume forgiò con "Sei na ru mo'no wa na'i"(Santo Niente in giapponese) un lavoro che rivaleggia coi più celebrati frutti di quella stagione del rock italiano, come “Catartica” o “Hai paura del buio?” : aspro, drammatico senza essere patetico, maturo.

La ricetta sonora di chef Palazzo era per palati fini: uno scheletro metallico di abrasive sonorità USA ( Melvins, Fugazi, Sonic Youth, Jesus Lizard), rilette attraverso il prisma di un decadentismo kitsch anni 70 (Faust’o) e di una certa viziosità mediterranea, che si estrinsecava soprattutto con vivaci e vischiose liriche di ordinaria desolazione metropolitana, ma anche con stranianti riverberi acustici che intarsiavano la ruvida scorza di episodi quali “Junkie” o l’articolata “Divora”.
Abbondano i momenti che suonano eccitanti ancora adesso, spogliati dell’urgenza del decennio scorso. “Maelstrom”, ad esempio: un caotico collage sonoro in stile “Downward spiral” sorretto da un basso pulsante che deflagra in uno spietato refrain chitarristico targato Seattle“Elettricità”, una torbida cavalcata noise con strascicato parlato che riporta ai tempi del sodalizio con Clementi, per poi chiudere l’album alla grande con l’alternanza tra ipnotici silenzi e deraglianti assalti chitarristici in “Quando?”, “Fiction” e nel capolavoro “Angelo Nero”, perfetta simbiosi delle due anime del gruppo, quella più selvaggia e quella più intellettuale.
Il cuore dell’album però risiede in quei momenti in cui si compenetrano alla perfezione claustrofobia noise e slanci anthemici cobainiani (la celebre “È aria”, la languida “Pornostar”: di entrambe i Santo Niente fornivano telluriche versioni dal vivo in quegli anni), o nella nervosa title-track, tagliata in due da lancinanti chitarre che ricordano gli Afghan Whigs di “Congregation” mentre Palazzo declama  enigmaticamente “Siamo tutti Madame Bovary”.
Tra i solchi di “La Vita è facile”, Umberto cantava: “Vi chiedo scusa, avrei voluto divertirvi”: ma noi ci divertiamo ancora ad ascoltare i suoi dischi.

Non è mare che scioglie i tendini e i pensieri
Non è pioggia che lascia l'asfalto lucente
Non è fiamma di nuova ed eterna passione
Non è un volo per l'inferno via berlino
 È aria
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