Stato di grazia per questa band è piuttosto riduttiva come espressione. Raramente è capitato di vedere una band dei vecchi tempi, i mitici Seventies per l'appunto, in tale forma smagliante come gli Uriah Heep nella loro unica data italiana al Rolling Stone per il tour del nuovo album "Wake The Sleeper". Il Locale è stracolmo, il pubblico è tipicamente composto da cinquantenni e ormai sessantenni, ma qua e là capelloni più giovani. Calore è la parola d'ordine, non solo per i pezzi vecchi, i classiconi, ma anche per i brani tratti dal nuovo disco degli Uriah Heep, il magnifico "Wake The Sleeper".
Il segreto dell'unica data italiana del tour che si potrebbe definire perfetto, sta nell'ottima amalgama musicale che i 5 membri della band propongono, oltre ad un affiatamento lungo 27 anni, se eccettuiamo che abbiamo un nuovo batterista, Russel Gilbrook, che con la sua doppia cassa quasi raddoppia la potenza dei brani interpretati.
Facciamo ora un breve digressione sull'aspetto scenografico del concerto: il palco è allestito in maniera essenziale... ovvero niente coreografie varie e totale assenza di fronzoli. Ci sono solo gli Heep e la loro carica energetica a dir poco stratosferica (e ciò basta ed avanza!).
Menzione a parte va a quel mostro di bravura di Bernie Shaw... vero e proprio animale da palcoscenico, che canta, si muove, da la carica sia ai fan (quasi incastrati l'un l'altro per mancanza di spazio!) che ai suoi compagni d'avventura. Insomma il vero e proprio trascinatore del gruppo, che alimenta esponenzialmente la passione di un pubblico già caldo e partecipe. Da segnalare inoltre la sua performance vocale assolutamente impeccabile, nonostante il numero di tappe già svolte altrove nel mondo. Immancabile anche la mitica Easy Livin', sempre bella con i ritmi veloci e anche qui Shaw non fa rimpiangere Byron, così come riesce a trascinare tutto il Rolling Stone con July Morning. Anche nei pezzi nuovi come War Child, Tears Of The World, Heaven's Rain, Light Of A Thousand Stars, Ghost Of The Ocean il nostro non perde un colpo.
Certo, l'anima della band è sempre Mick Box, unico membro superstite del nucleo originale della band. Mick Box è gli Uriah Heep. Occhialini, capelli lunghi fino alle chiappe, sorrisoni a tutto spiano e un wha-wha che è diventato l'estensione naturale del suo piede sono i tratti distintivi. Anche camminando ormai anatreggia. È all'insegna della sua potentissima chitarra che si apre il concerto, con la title-track Wake the Sleeper, come aveva predetto ottimamente la nostra cara shoot. E poi Overload, e la maestosità del riff chitarristico di Shadow, oltre allo strepitoso ritornello, per non parlare di quello di Book Of Lies, altrettanto entusiasmante! E Box ogni canzone indica il cuore con il pugno, e verso la fine del concerto ringrazia commosso con un discorso il pubblico italiano, per la carica e il buon ricordo che si porterà la prossima data in Belgio.
Grandissima l'esecuzione dell'ex-Spider From Mars Trevor Bolder che in questo live è espressivo come non lo si è mai visto. I riff che crea nei nuovi pezzi sono a dir poco perfetti: Angles Walk With You con tanto di assolo di basso, appare molto più grintosa dal vivo che in studio grazie anche alla interpretazione di Shaw. What kind of God è un altro punto di mirabile altezza, anche per la presenza per il bassista,che, soprattutto nel finale, si scatena e trascina. Trevor interpreta in modo altrettanto sublime i vecchi classici, come il finale Lady In Black con tanto di coro del pubblico.
Davanti ai tasti del mitico organo Hammond, elegante nella sua camicia da impiegato blu scura, fa bella mostra della sua svolazzante chioma Phil Lanzon. Il bravo musico rimane defilato nei primi brani del concerto, suonando accordi con la destra e tenendo il ritmo roteando la sinistra come neanche Ken Hensley negli anni di gloria. Poi avviene la nemesi: come in un'estasi artistica impressionevole, il nostro prende ad agitarsi, sgomita sulla tastiera, i capelli sembrano avere vita loro: è il primo classico, Stealin', ed è solo l'inizio. Un attimo, ed i lamenti onnipresenti ed irresistibili dell'Hammond riempiono il suono già ricco di due pezzoni prossimi alla soglia dei quarant'anni, Gypsy e la strepitosa Look At Yourself; il pubblico è in delirio. I riflettori sono ora tutti per lui; l'assolo di organo, intenso e molto ben eseguito (peraltro con un accenno della toccata di Bach) trascina tutti e termina in un accordo prolungato in crescendo. Non appena le idee si chiariscono, un boato: è il primo regalo per il mago che compie gli anni, quella Sunrise che fa impazzire ancor'oggi, dopo tanti anni. Lanzon non ha certo la versatilità del leggendario Hensley, il quale cantava molto bene e suonava anche la seconda chitarra, ma sui tasti d'avorio non fa assolutamente rimpiangere il buon Ken; sontuoso e molto pulito, il biondo-ormai-quasi-bianco Phil è in palla, stasera: la sua espressione è quella del musicista che dà tutto se stesso, come i suoi compagni, ed è questo il miglior regalo che gli Uriah Heep potessero fare ai fan che li aspettavano da vent'anni. Al limite della commozione, nostra, loro e di tutti. Anche del rompipalle che per tutto il concerto ha chiesto a Pibroch togliersi da davanti.
La serata si chiude così con shoot senza voce, Pibroch estasiato, Roby in orgasmo e green che ha dovuto ricredersi su Shaw! Se poi contiamo anche un tour program autografato originale dai membri della band a soli 10 euro (che Pibroch con veloce passo felpato si è precipitato a comprare, vedendo Roby86 e green che già lo sfoggiavano orgogliosi e perculeggiandolo) disponibile nel foyer... Si può dire che altro non si possa desiderare in una serata così magica!
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