Quarant’anni sono passati da quell’umile e pesante debutto.

Mick Box e i suoi Uriah Heep sono ancora on the road, a raccontare con ragionevole orgoglio storie di demoni e stregoni, lucciole ed angeli caduti, forti di una perseveranza che ha pochi eguali e dell’onore conquistato con le armi ed il sudore. Appesantiti ed invecchiati, certo, perché questa vita non fa sconti a nessuno. Ma quanta emozione c’è ancora dietro quei suoni. Vibrazioni che sopravvivono al corso delle stagioni, ai molteplici cambi di formazione, ai compagni persi lungo la strada, alle poche luci e molte ombre degli anni ottanta e… a Melissa Mills. Ora, sinceramente spero che la velenosa giornalista del Rolling Stone non abbia mantenuto quanto promesso, ma con altrettanta franchezza e idealmente in coro con gli Heepsters vorrei risponderle oggi: ma vaffanculo va!

Per nostra fortuna i "Beach Boys dell' heavy rock" ce l’hanno fatta, in barba ai tanti (troppi) detrattori. Il tempo ha in parte restituito loro gli innegabili meriti, mentre i nostri hanno continuato a regalarci negli anni preziose gemme come per esempio questo “Sea of Light”. Un disco che celebra i 25 anni di carriera nel migliore dei modi e ricorda i sapori di quei primi anni settanta, sin dalla splendida e celestiale copertina ad opera del ritrovato Roger Dean.

Mickey e soci riescono nell’arduo compito di forgiare un sound moderno ed aggressivo, che sarà la base anche per i successivi ed altrettanto validi lavori, ma che al contempo si mantiene fedele alle radici. Il tutto grazie ad una line-up ormai rodata (Box-Kerslake-Bolder-Lanzon-Shaw), che dimostra un affiatamento invidiabile, e che con tutta probabilità è destinata ad essere ricordata come la più duratura della band. Il mare di luce è l’elisir di lunga vita per gli Heep, il piacere di tornare a vibrare, una formula senza tempo che miscela aggressività e dolcezza, richiami del passato e seduzioni del presente.

Hard rock a 360°, che lambisce le coste dell’AOR e si lascia inebriare da aromi progressivi, ma non distoglie l’attenzione dalla propria rotta alla ricerca della melodia. Ci si accorge che in fondo poco è cambiato da quel lontano 1970: la passione e la costanza sono le medesime, e si sposano ad un ritrovato vigore che altri dinosauri dei seventies ora si possono scordare. E poi c’è il loro marchio di fabbrica, quelle armonizzazioni vocali inarrivabili che tanto hanno fatto storcere il naso all’epoca, tra delicati falsetti e acuti lancinanti, e che a tutt’oggi  risultano ancora così potenti e riconoscibili.

Può essere o non essere il vostro genere, ma questi signori meritano il rispetto di tutti noi.
Lunga vita agli Heep.

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