Anno del signore 1973, gli Uriah Heep, nonostante ripetuti tentativi di affossamento da parte della critica, stanno iniziando a raccogliere i frutti di un intenso lavoro (6 album in 3 anni), il '72 ha dato alla luce due veri capolavori e dal tour seguente è stato tratto uno dei migliori live della storia dell'hard rock. Iniziano dunque a girare parecchi soldini e le richieste dell'erario si fanno, secondo i nostri beniamini, parecchio esose, tanto da decidere di varcare la manica e registrare in terra di Francia. Lo studio prescelto (Chateau d'Herouville) nonostante l'aspetto medievaleggiante sembra essere all'avanguardia. In realtà, come avrebbero scoperto anche i Jethro Tull, gli avveneristici (per la prima volta i nostri registrano su 24 piste) macchinari si burlano dei tecnici del suono creando mille problemi. A ciò si aggiunga il disagio per la forzata lontananza da casa, le precarie condizioni di un Hensley reduce da epatite e anche il bisogno di rifiatare di una band che non si ferma un nano secondo dal '70, e gli ingredienti ci sono tutti: ladies and gentleman ecco a voi il declino.

Esaurite le premesse, passiamo al disco. Si apre con la bella "Dreamer", bella e ritmata, poi abbiamo uno dei classiconi della band: "Stealin' ", guidata da un Gary Thain in gran forma(quando mai non lo era?). Si arriva alla parte centrale che e', secondo me, il punto debole del disco: la sequenza "One Day", "Sweet Freedom", "If I Had The Time" risulta un po' monotona. La title track e' un pezzo molto bello, con un Thain che, tanto per cambiare, non si lascia stare un attimo, le dita che vanno su e giu' per il basso macinando note (non è che il resto del gruppo non faccia niente, sia chiaro, però diamo a Gary ciò che è di Gary), però gli altri 2 brani seguono la stessa falsa riga senza troppa fantasia il che annoia discretamente. Si arriva così all'incalzante "Seven Stars", seguita dalla dolce e malinconica "Circus", che con la sua struttura semplice e senza troppe sovraincisioni (come appunto "One Day" e "If I Had The Time") ci mostra un altro lato degli Heep. Negli ultimi album si era deciso di chiudere con una mini-suite, le stupende "The Spell" e "The Magician's Birthday", e qui non manca il pezzone finale: "Pilgrim". L'attacco è dominato dalle tastiere gotiche di Ken Hensley, che vanno poi attenuandosi laciando spazio al basso e al wah-wah di Box, mentre Byron si scalda l'ugola descrivendoci il pellegrino del titolo. Dopo 2 strofe ci si ferma un attimo e poi Kerslake inizia a picchiare peggio di Tyson in uno dei passaggi più duri mai registrati dalla band impreziosito da un assolo di un Box mai così incazzoso. Riprende quindi il cantato in un crescendo che solo un cantante del livello di Byron poteva permettersi di gestire, per finire con una cavalcata finale in cui i ragazzi si sfidano a chi fa più casino.

In definitiva si tratta di un disco molto bello (3,5/4 stelle) ma non ai livelli dei precedenti, si sente una certa tensione che permea tutto il lavoro e manca la freschezza e la varietà che hanno reso immortali i dischi dell'anno precedente. Le lavorazioni di "Demons And Wizards" e "The Magicians Birthday" erano già state penalizzate dai ritmi da catena di montaggio imposti dal manager Gerry Bron, ma la carica e l'entusiasmo erano riusciti a dare quel qualcosa in più che ancora oggi si sente. Purtroppo però il miracolo non è riuscito una terza volta, la continua rincorsa al successo (leggasi dollari) stava prosciugando le energie di un gruppo che, gestito meglio, avrebbe pututo passare alla storia come il miglior gruppo hard rock degli anni '70. Invece ormai questa line-up, sicuramente la migliore della quasi quarantennale storia degli Heep, aveva le ore contate. Thain era sempre più dipendente dall'eroina e sarebbe morto un anno dopo, Byron per non essere da meno si era dato all'alcol e questo lo avrebbe portato all'espulsione dal gruppo prima (1977) e alla morte poi (1985). La band e' arrivata ai giorni nostri con molti cambi di formazione ed una discografia con molti alti e bassi, ma la magia dei primi anni si è persa lasciando troppi rimpianti.

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