Usé è la sigla adottata dal giovane spaccatimpani transalpino Nicolas Belvalette per le sue scorribande in solitaria di matrice wave-electropunk-tribal-chanson d'amour.

Seguo questo bel personaggetto da tempo: infatti ho scoperto della sua esistenza sul Pianeta Terra già la settimana scorza.

A quel che ho capito l'ensemble in cui spacca regolarmente tutto si chiama Headwar: una adorabile congrega di giovani casinisti d'oltralpe decisamente scoppiati ma simpatici.
Ma non chiedetemi altro: neanche il mio Breil o un Lucano.
Il primo non l'ho mai avuto, l'altro è finito da tempo.

Ad ogni modo: il placido Nicolas evidentemente ogni tanto si annoia a stare in compagnia dei suoi simili e allora, quando non si candida alle elezioni comunali di Amiens (ottenendo un significativo 2,17% con il meraviglioso "Partito Senza Obiettivi") si lancia in pubblicazioni di improbabili dischi per poi scorrazzare quà e là in giro per il globo cercando di squadernare i padiglioni auricolari altrui.

Ora: non so come siate messi Voi, lì, con la faccenda dei gruppi sentiti-dal-vivo per la prima volta.
Ma anche per la seconda.

Personalmente trovo già miracoloso che riesca ad arrivare alla fatidica fine del terzo brano senza provare l'istinto primordiale di fuggire a gambe levate.
Chiunque essi siano.
Dalla tellurica Noah ai melliflui Dillinger Escape Plan.

Figuratevi perciò la sorpresa di riuscire a giungere a fine concerto, o quel che era questa specie di folle performance, con il sorriso (sdentato, sennò che razza di proto-punk giurassico sarei?) stampato sulla faccia con la voglia di sentire ancora "altro".

Il problema è che "altro" non poteva essercene poiché il gentiluomo dopo l'ultimo frammento, una versione sclerotica di "Smooth Criminal" di Michael Jackson, ha deciso di prendere a calci e colpi d'asta (del microfono) l'armamentario insonorizante constante di un paio di tamburi e relativi piatti, un sequencer, una chitarra martirizzata a mò di cimbalo con i quali, suonando il tutto rigorosamente in piedi con un approccio fisico/chimico decisamente fuori dalle righe, ha organizzato un bel putiferio tra ritmi percussivi mèmori dei primi Einstürzende e Young Gods e ampie parentesi ultra-melodiche a là Serge Gainsbourg e/o Charles Aznavour.

Per farla breve, nonostante l'età para-puberale, un grandissimo!

Dopo di Lui, per la cronaca, in chiusura hanno suonato i "quotatissimi" Soft Moon: ecco, appunto, dopo il terzo brano di più o meno dozzinale copia+incolla tra NIN e Skinny Puppy in salsa blù sono andato a buttarmi nelle calde acquee termali lì affianco.
Erano decisamente molto meglio.


In clausura soliti sinceri complimenti ai cocciuti organzzatori dell' Here I Stay Festival giunto quest'anno alla decima edizione!

Nota di méritorio plauso va anche al mitologico panino con sartizzu e melanzane: è stato qualcosa di mèmorabile che ha convinto anche i più strenui detrattori di ogni latitudine.
Tranne i masochisti di ispirazione vègana: quelli, detto trannoi, han problem(on)i grossi.
Mai quanto i miei, chiaro.
Ma grossi.

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