Ciao ragazzi! Bentrovati come ai vecchi tempi! Premetto che questa mia inaspettata produttività non implica un mio ritorno in pianta stabile sul sito, avendo io sostanzialmente esaurito la mia "mission" da molti mesi a questa parte.

Da un lato, è tuttavia un periodo in cui sto recuperando un po' di ferie e, dunque, non è difficile perdere qualche minuto per Voi al pc, soprattutto sul far della sera; last, but ovviamente not the least, c'è il fatto che questo Festival di Sanremo - visto di sfuggita, mi son perso pure la finale, ma poi ripresa su Youtube - ha, da molti anni a questa parte, segnato una netta rivalsa del pop italiano che, ai tempi, trattavo con e per Voi, spingendomi a ricercare, nelle canzoni di pochi giorni fa, quei pezzi che sono già dei classici.

Di Pupo & Company s'è già detto, ora il mio apprezzamento va al vincitore, Valerio Scanu, su cui vorrei finalmente soffermarmi, scusandomi con Voi per questa lunga, ma necessaria, introduzione, che sgombera forse il campo da aspettative (per chi mi apprezza) o moti di spregio (per chi non mi apprezza).

Assieme al vincitore dello scorso anno, Marco Carta, Valerio Scanu rappresenta quella che, oramai, possiamo definire con solida certezza la nouvelle vague del melodismo sardo, tanto più interessante quanto si consideri come la Sardegna non ci abbia mai offerto cantanti di autentica vaglia, schiacciata dai tradizionali tenores che tanto piacevano a Peter Gabriel, e che non sono molto proponibili al grande pubblico, da qualche autore che ha cavalcato l'epos sardo per costruirci un'infedele nuova frontiera, o ipotetico ma farlocco west (De Andrè con "L'indiano", ‘81), o, ancora, da chi ha cercato improbabili crossover fra canto tradizionale e pop-folk sanremese, certamente interessanti e degni di memoria, ma un po' poveri sotto il profilo stilistico, quasi stucchevoli a distanza di anni (Bertoli e Tazenda).

La musica sarda è stata dunque condizionata, negli ultimi anni, da questi pericolosi precedenti - restando a parte la ricerca etnica di Maria Carta, ça va sans dire - e dal rischio di prendere la china di una pericolosa ed artificiosa plastificazione, non meno di quanto non sia avvenuto per le coste dell'antica Hyknusa ad opera di ben noti speculatori (e datori di lavoro).

Il rischio mi sembra scongiurato proprio da ragazzi come Carta, e soprattutto Scanu, che, con i loro volti sbarazzini, una certa allegria e giovialità espressa in sorrisi larghi ed aperti al pubblico, hanno genialmente preso la via del Continente (in direzione Napoli, o Roma sponda Baglioni, modello inconfessato di tutti questi neomelodici, in quanto epigono dell'antico Claudio Villa) abbeverandosi alle fonti dello stile neomelodico, filtrandolo con un approccio personale, figlio di una certa cultura isolana, non casualmente scoperto e rafforzato dalla scuderia di Maria de Filippi.

Prendiamo "Per tutte le volte che", meritevole della vittoria a Sanremo, e consideriamone il testo, in cui la descrizione di una storia d'amore - secondo i classici clichè sanremesi, che comunque pagano in competizioni come queste - sono arricchiti da una particolare attenzione per la natura e i suoi segreti, tanto care alle radici sarde del cantante:  si consideri in questa prospettiva l'efficace ritornello "noi coperti sotto il mare a far l'amore in tutti/i modi, in tutti i luoghi in tutti i laghi in tutto il mondo/l'universo che ci insegue ma ormai siamo irraggiungibili..." e si immagini come, nell'ottica del cantante, l'amore per la bella di turno venga integrato, con una sorta di sinestesi, con l'immersione in una dimensione altra rispetto a quella umana.

Sembrerà banale, direte Voi, eppure, sottolineo invece io, questa innocua frase maschera, nel sottotesto, una sensibilità quasi leopardiana, a cui sostituirei la siepe marchigiana con il sughero sardo: così come il Poeta di Recanati affermava di cogliere l'Infinito "sedendo e mirando, interminato spazio di là da quella", suggerendoci, secondo una tesi minoritaria ma non banale, di aver già trasceso la dimensione terrena, e di essere "al di là" della siepe, anche il suo giovane epigono contemporaneo sembra superare una dimensione terrena, per cogliere il Tutto.

Con la differenza, qui prosaica e certamente più affine ai gusti dell'ascoltatore medio, per cui Scanu raggiunge l'Infinito facendo "all'ammmore" con la sua bella (e dando a tutti l'illusione che facendo come lui sia possibile, in chiave dunque consolatoria, neoromantica come il clichè impone) mentre Leopardi lo coglieva in un empito solipsista, solitario, romantico nel senso che la critica letteraria e filosofica attribuisce al termine.

Il parallelismo potrebbe ovviamente proseguire, sottolineando i ripetuti incisi riferiti all'Universo, chiaro contraltare dell'Infinito leopardiano, oppure ancora al mare, chiaro riferimento al naufragare del Poeta, ripreso dal naufragar del nostro Scanu, possibilmente a bordo di un traghetto della Sardinia Ferries, con l'adesivo da mettere in bella mostra sulla Golf.

Proprio il riferimento al mare, fatto da un giovane de La Maddalena come il fresco vincitore di Sanremo, fa giustizia di una diversa prospettiva di vedere quei luoghi, enfatizzata dal grande Eugenio Montale e ripresa, a ben vedere, dallo stesso De Andrè, che nella solinga e lontana Sardegna vedevano un qualcosa di metafisico, ma intriso di negatività, un luogo in cui perdersi nelle proprie nebbie interiori, avulsi da tutto (prendete per esempio "Amico fragile" scritta laggiù).

Scriveva infatti Montale, ne "La casa sul mare", come fosse "raro che appaia nella bonaccia muta/tra l'isole dell'aria migrabonde/la Corsica dorsuta o la Capraia", aggiungendo, in contrasto con l'Infinito leopardiano ed all'insegna di triste scetticismo, come "forse solo chi vuole s'infinita, questo tu potrai, chissà, non io", per giungere alla tragica, marittima consapevolezza, per cui "il cammino finisce a queste prode/ che rode la marea col moto alterno/il tuo cuore vicino che non m'ode salpa già forse per l'eterno".

Al intimo turbamento montaliano, tutto intriso del lato buio ed oscuro della Sardegna (che tanti scrittori hanno nel ‘900 sviluppato, ma non eccediamo), Scanu risponde con la sua schiettezza e semplicità, replicando, a quasi un secolo di distanza, in quella stessa Liguria in cui nacque il Poeta, che "come se un giorno freddo in pieno inverno nudi non avessimo poi tanto freddo perché/noi coperti sotto il marea far l'amore/ma ormai siamo irraggiungibili", vedendo nel mare un'immensità diversa da quella di Montale, ma anche di Don Backy, in cui sia possibile immergersi, perdersi, in una deriva dei sensi e dell'anima, vissuta con la propria bella.

Leopardi, Montale, e certo pessimismo melodico italiano sono così superati all'insegna di una schiettezza sentimentale che ammalia, in cui il mare - mai troppo caro ai sardi, che non furono mai grandi navigatori - viene visto come via di comunicazione con il mondo piuttosto che come barriera e fonte di isolamento.

Una canzone fascinosa, insomma, sia nel testo, sia nella sua intima rottura con la tradizione, che tuttavia appare familiare in forza delle armonie, dell'alternarsi fra strofe meditate ed esplosione del ritornello, delle allitterazioni che rendono il far l'amore in tutti luoghi e in tutti i laghi una sorta di filastrocca per adulti, meritevole, per queste ragioni, di vittoria al Festival, oltre che di essere elevata a piccolo classico contemporaneo.

Sento già l'eco lontana di chi mi critica, sussurrandomi "Paolo, che c'entrano Leopardi e Montale con Scanu? E, soprattutto, perché scomodare i due poeti per parlare di questo ragazzino? Perché tanto successo per una canzone così banale vorrei dirti?" ed a cui mi permetto di replicare, in tutta franchezza, che "in ogni caso poi, la gente, sai che cosa vuole? In fondo, vuole Natale con la neve, e far l'amore in tutti i luoghi, in tutti i laghi".

Infinitamente Vostro

Il_Paolo

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