E' venerdì pomeriggio, e l'estate esplode nella capitale della Gallia. Almeno per poche ore il maltempo s'è guastato e, dopo l'ennesima settimana di chimica degli adesivi, un viaggio a caso nella banlieue affollata da hippies, campeggiatori e teenagers (rigorosamente col ciuffone e la divisa indie d'ordinanza) sembra l'unica soluzione possibile per concludere in bellezza.
Non potevo risparmiarmi l'ultimo bagno di follia collettiva, prima del mio ritorno alla Città del Fiore. Potevo? Non potevo.
Era da molto tempo che non andavo ad un festival, e non ero più preparato a certe dure realtà: due ore di fila per il controllo dei biglietti, di cui una sotto il sole, finché la massa semovente di zombies non mi ha spinto all'ombra provvidenziale di un filare di alberi. Più volte sono stato seriamente tentato di girare i tacchi e andarmene, pensando che trenta minuti di fighetti di Brooklyn non potevano certo valere tutto quello sforzo.
E invece...
Una volta superata l'odissea dell'entrata, il Festival Solidays si prospetta come l'ambiente ideale dove passare un pomeriggio estivo: la maggior parte dei concerti si tengono sotto tendoni da circo, all'ombra e ben ventilati. Il pubblico riempie e svuota alternativamente l'area, e l'oretta scarsa tra un concerto e l'altro permette di riposarsi, prendere il posto per lo show successivo, ingozzarsi di birra e patatine fritte, andare al cesso, insomma tutte le attività ricreative degne di questo nome.
Mentre smaltisco gli effetti dell'insolazione, ho tutto il tempo di osservare con divertito distacco i concerti di Xavier Rudd e Micky Green. Sarò breve: Rudd m'è parso lo Zucchero australiano, ma gli riconosco il look geniale da Indiana Jones grasso. La biondina invece è una ragazza molto carina e simpatica che fa musica pop piuttosto classica, con l'eccezione di alcune parti di chitarra minimali suonate su una Squier Hello Kitty che, abbinata al suo completo da sexy hostess, faceva la sua figura porno-demenziale (quindi ottima).
Ma veniamo alla ciccia. I Vampiri si presentano con un quarto d'ora di ritardo, dando il tempo alle solite ragazzine urlanti di scaldarsi e caricare bene gli ormoni. Infine eccoli, look da studentello americano fine anni '80 inizio '90. Brufolosi come Alex Turner, ma molto, molto USA, anziché UK.
La strumentazione di base è molto semplice: una relativamente modesta Epiphone Sheraton su un Fender Reissue Blues, a dimostrazione (se ce ne fosse ancora bisogno) che non si devono avere Broadcaster del '55 o Coronet del '65 e Vox del '68 per essere cool e avere ottimi suoni. Niente pedali, niente effetti, tutto molto semplice, solo parti di chitarra decisamente carine. Si aggiunga un basso incisivo e suonato molto bene e in modo per niente scontato (no gommoni come avviene ahimé per troppi gruppi, specie nei live) e una batteria tirata, ed il gioco è fatto. Un paio di tastiere, alternate o unite alla chitarra, completano l'opera, sfoderando melodie azzeccate e veloci di stampo classicheggiante, un bel contrasto alle sonorità vagamente afro della chitarra e di alcune parti vocali.
Senza considerare troppo l'hype smodato che li accompagnava, e ignorando l'incrinatura alle costole causatami da una cicciona francese forsennata, posso dire con tranquillità che i quattro suonano bene, sono molto freschi e pieni d'energia, e sui loro pezzi si canta e si balla che è un piacere, anche se si è un pelato alla soglia dei 30. Davvero, anche con tutto il cinismo e l'acidità di questo mondo non si può negare che abbiano eseguito un pugno di canzoni semplici ma divertenti, naturalmente derivative (mi vengono in mente due nomi: Police e Jonathan Richman) ma con un'impronta comunque personale, che è quanto si possa chiedere al rock-pop-punk-ecc di oggi (mi correggo: di sempre). Se poi volete l'attitudine sofferta, seriosa, possibilmente sfigata, allora non era il concerto per voi.
La scaletta ha compreso tutto il primo (e unico) disco ed un pezzo nuovo, già presente in versione live su youtube, che segue le stesse linee degli altri. In questo senso, l'unico difetto che posso trovare nella musica dei VW è il rischio di diventare ripetitiva già dal secondo disco. Al momento la miscela di pezzi con influenze afro ed altri più pop funziona benissimo, in futuro vedremo.
Con buona pace della musica "alternativa" francese, regolarmente spazzata via in poco più di un ora da quattro ragazzini newyorkesi, mi sento di consigliarvi di vedere un loro concerto, se vi capiterà. Uno solo però: l'incantesimo potrebbe non durare.
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