Gli anni passano, per tutti. Hugh Banton alle tastiere non ha più la grinta e la spietata verve dei tempi passati (evidentissime in "Still Life", Guy Evans non è più la piovra di "A Plague Of Lighthouse Keepers" e Peter Hammill non è più il cantante "ugola dorata" che mi piace lodare. La sua voce è ormai logorata dal tempo che passa, è indebolita dal peso del passato, un passato glorioso culminato con il loro ultimo capolavoro, "Vital", teatrale quanto primordiale live che tutti una volta nella vita devono avere l'occasione di vedere. Dopo il deludente e poco ispirato "Alt" (che si becca un 6 tirato), i Van Der Graaf Generator, la band alla quale sono più affezionato nel modo più assoluto, decide di compiere un'ulteriore "fatica", se così possiamo chiamarla.
Nasce così "Do Not Disturb", uscito proprio oggi e grazie a Davide ho avuto l'occasione di ascoltarlo finalmente in "tempo reale".
"Aloft" presenta una parte melodica e ritmica molto interessante, con il nostro amato zio Hammill che si lascia andare ad una interpretazione vocale in bilico tra il drammatico e il teatrale, come solo lui riesce a fare. Le tastiere hanno un andamento cadenzato, quasi soffocato dalla vecchiaia. Bellissima l'intro con il tintinnio di batteria e con quella chitarra sbavante di tensione drammatica.
Si passa quindi ad "Alfa Berlina", un verso e proprio caos urbano, segnato dal "traffico" che percuote la nostra mente... Questo brano entra di diritto tra i migliori brani del generatore. Inizia con quel fermo immagine quasi poetico di Hammill, per poi scatenarsi con l'andamento commovente a mio modo di vedere di quelle tastiere dolciastre e domate in modo saggio. E' possibile intravvedere una nota stile "Faust" nella seconda parte paranoica e deprimente del brano.
"Room 1210" è un altro episodio struggente, con le tastiere incazzate che fanno da sfondo all'ennesimo incubo dalla filosofia collettiva, marchio di fabbrica del generatore. L'intro di piano è qualcosa di celestiale.
"Forever Falling" probabilmente è un pezzo minore rispetto ai precedenti tre, presentando una forma più "canonica" e per certi versi rock and roll dei paladini della solitudine. Rimane un pezzo comunque godiile, con quel bell riff di chitarra.
"Forever Falling" probabilmente è un pezzo minore rispetto ai precedenti tre, presentando una forma più "canonica" e per certi versi rock and roll dei paladini della solitudine. Rimane un pezzo comunque godaibile, con quel bell riff di chitarra.nte", con quella batteria ossessiva e malatissima, sorretta dalla voce semi-schizofrenica di sua (ex) maestà Pietro Hammillo.
"Brought To Book" presenta una forma più pacata, quasi secondo un ritmo tipico di una ballata strappa lacrime, con qualche leggera pennellata jazz, sembra suonata in un desolato locale britannico, dinnanzi ad un pubblico quasi incapace di apprezzare la musica come forma d'arte dalla grande forza espressiva. Hammill si lascia andare ad una interpretazione pacatissima, ma per niente mancante di sofferenza. Altro brano degno di nota della produzione di Hammill. dopo appena 2 minuti l'atmosfera si scalda, vi è un esasperazione del caos nel modo più assoluto. Vi è una saggia alternanza di momenti calmi e momenti esasperati, come quando una metropolitana si ferma per poi ripartire velocemente, lasciandosi alle spalle tutto ciò che passa via.
"Almost The Words" è un'altra "semi-ballata" di grandissimo impatto musicale, con quel basso assurdo, quel piano meraviglioso che leggiadramente fende l'aria, sono ancora 8 minuti potentissimi, diretti come 6 shottini di vodka liscia, e strazianti come il primo sorso di alcol delle nostre vite. Il modo in cui le tastiere si scatenano sulla seconda porte mi ha fatto quasi venire un orgasmo, per come si piazzano dal nulla in mezzo a questo mare di depressione e solitudine.
"Go" invece si presenta come un sassolino che cade da solo dinnanzi ad uno sperduto quanto sconfinato laghetto, ed è una conclusione più che buona per un album ricco di spunti, in parte ben gestiti, con illustri casi quali "Brought To Book" e "Alfa Berlina", ed altri meno riusciti, ma non in modo tale da farmi scendere il voto a 6.
E' sicuramente un disco acerbo, nettamente inferiore ai vecchi e gloriosi album che hanno reso i Van Der Graaf Generator il gruppo che sono, uno dei massimi gruppi rock e progressive rock di tutti i tempi, il più poetico, il più coerente insieme ai King Crimson, quelli meno banali nonostante gli anni che passano e i fumi della vecchiaia che colpiscono i miei beneamati. Sono ormai al culmine della loro arte, non hanno null'altro da raccontare, non vi saranno più le note strazianti e filosofiche del Pawn Hearts che ci diede delle consapevolezze sulla solitudine dell'uomo, non vi è più l'urlo primordiale di "Arrow", nè il soffertissimo cantato di "Pilgrims", e nemmeno quella meraviglia di "Vital", capace di valorizzare in un'ora e mezza tutta l'arte di Hammill and Company.
Ora ci sono solo Guy Evans, Peter Hammill e Hugh Banton, vicino ad un sottopassaggio, soli, consapevoli di ciò che hanno fatto, ma non si torna più indietro, i Van Der Graaf Generator non sono più magici come un tempo, ma continuano a sognare, una cosa che spesso noi ci dimentichiamo...

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