Certo, il miglior Van Morrison ce lo siamo giocati più di vent'anni fa (era il 1986 quando uscì "No Guru, No Method, No Teacher"), ed è pur vero che, quel Van Morrison, non tornerà mai più.

Però, è altrettanto vero, che chi ha elargito a piene mani bravura e competenza musicale, non può, tutto un tratto, diventare brocco senza un vero motivo. E dunque, anche quando l'ispirazione fa un pò cilecca, la disciplina tecnico-musicale salta fuori un pò inaspettatamente. È il caso, appunto, di Van Morrison.

L'irlandese autore di capolavori come "Astral Weeks" o "Into the Music", dopo una parentesi autocelebrativa ("A night in San Francisco" è sostanzialmente una celebrazione quasi maniacale di sè stesso e della propria musica), ritorna in sala d'incisione con idee scintillanti e qualche tocco di mestiere. Ne esce "Days Like This", un disco molto interessante, piacevolmente godibile, a cui però manca il vero colpo di genio, quello che trasforma un buon album in un capolavoro.
"Days Like This" appare da subito meno genuino ed effervescente rispetto a dischi, non perfetti ma migliori, come "Beautiful Vision", e il tutto sembra una discreta lezioncina su come si debba concepire la musica nell'epoca del computerismo sofisticato e dell'arte a buon mercato. Insomma, quasi un lavoro di routine, se non fosse per un pugno di brani incisivi e coi fiocchi: "Perfect Fit", "Songwriter", "Raincheck".

Molto r&b, delucidazioni ritmiche niente male, e forse il brano più rappresentativo del Morrison anni Novanta: "Ancient Highway", lunga ballata, quasi epocale, in cui Van Morrison dà sfogo per quasi 9 minuti alla propria incontenibile forza poetica e musicale. Ottimo, come sempre, il contorno musicale: belle ritmiche, suoni eleganti, effervescenti sezioni di fiati arrangiate benissimo (d'altronde, sotto l'occhio esperto di Pee Wee Ellis, non ci si poteva aspettare altro che un buon lavoro). E come sempre, generoso come pochi, Morrison dà spazio a Shana, e la fa duettare con papà in un paio di cover blues/jazz, "I'll never be free" e "You don't know me".
Indubbiamente il disco potrebbe far storcere il naso a tutti quei fans che andavano in delirio ascoltando "Caravan" o "Come Running", ma aspettarsi oggi da Morrison un capolavoro è pressochè impossibile. Assestatosi su un livello decoroso ma non certo epocale, l'artista irlandese cerca, qualche volta riuscendoci, di imbrigliare il proprio pubblico seducendolo con armonie gentili e deliziose, facendo ampio uso di quella furbizia e di quel mestiere che, come ovvio, non gli mancano.

Ma è ammirevole, al di là dei molti difetti riscontrabili in album come appunto "Days Like This", come Van Morrison non cerchi mai di sviare e inseguire le mode, adeguandosi pochissimo (anzi, non adeguandosi mai) ai falsi miti di successo della musica moderna (dance, passaggi radiofonici continui, slang giovanile) e continui, con forza, a ribadire il suo concetto di musica seria e impostata. Magari rischiando di registrare qualche brano un pò inutile, ma ostentando sempre, con forza e sicurezza, la propria inossidabile voglia di non conformizzarsi e non seguire le regole del mercato: gli va sicuramente riconosciuta una coerenza di fondo e una buona dose di coraggio. E non è poco.

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