C'è qualcosa di male a divertirsi...?
Questa la domanda che m'ha assillato molto negli ultimi tempi, e che m'avrebbe devastato sabato sera, se non avessi impiegato il mio tempo a divertirmi come un pazzo. Sì, lo so...: Vasco, il mercato imperante, il presunto scimmiottamento, il certo gigionamento, il passato da drogato, il non esser un esempio, l'aver bevuto, trombato e chissà che altro, l'amare evidentemente le ragazzine (e il coraggio di dirlo), la macchina da far soldi, l'industria, la professionalità di facciata, il pubblicone pecorone, e tutti che cantano e si abbracciano e fumano, e via spernacchiando... E non che io non abbia dubbi, chi mi legge lo sa. Solo che, sarà l'età, sarà un momento sostanzialmente bello, sarà che la musica del primo Vasco è buona parte della mia gioventù migliore, sarà che quella sera non c'erano dischi da proporre, e dunque il repertorio era voltato piacevolissimamente al passato. Sarà quel che sarà ma, ripeto, mi son divertito come un pazzo.
Lo stadio Delle Alpi, la struttura più moderna e più ciccata che storia dell'architettura ricordi, è bellissimo quanto inutile, e, bello pieno di gente, è obiettivamente uno spettacolo nello spettacolo. Tutta la folla che canta, poi, è un ulteriore spettacolo nello spettacolo. Ed è sempre così. Ma, man mano che il tempo passa, ai concerti di Vasco la cosa migliora. Ci sono almeno quattro generazioni. La ragazzina di fianco a me, carina (vascamente parlando da mangiucchiarsela tutta) probabilmente era maggiorenne da pochissimo, ma non è detto. Dietro di me c'erano un paio di vecchiazzi come il sottoscritto, ma, a differenza di me, s'erano portati dietro la prole. In mezzo ventenni e trentenni. Drogatoni, spinelloni, spintoni, scavalcamenti, insulti, bottiglie di piscia, e casini vari? Macché: un sacco di gente sorridente, cantante e ballante.
Il repertorio spaziava da album come “c'è chi dice no”, eseguito misteriosamente quasi per intero, a “cosa succede in città” e “gli spari sopra”, con alcune interessanti fughe nel passato remoto (un'esaltante “voglio andare al mare”, assolutamente filologica: il batterista ha ricreato la parte originale con dovizia certosina e libidine indiscutibile). Pochissime le cose recenti (neanche una per album). Alcune ballate (“Sally” e “un senso”) sicuramente impreziosite dalla resa “live”. Gruppo di poco rimaneggiato ed affiatatissimo. Professionalità rarissima dalle nostre parti. Piaccia o non piaccia lo spettacolo era clamorosamente occidentale, nel bene (purezza di suono, parti perfette, strumentisti decisamente professionali) e nel male (quell’aria di baraccone creato a tavolino per il divertimento, ma con un retrogusto di finto, come Gardaland o certi vini affinati in appiattenti barrique). Poi lui: gigione, orso, scemo, geniale, porco, vero, finto, saggio, cazzone e chi più ne ha più ne metta. Comunque un monumento nazionale, come lo erano Sordi e Pavarotti, e, come tutti i monumenti nazionali capace di commuovere, far incazzare, ridere e godere.
Sta di fatto che il salto nella primissima antichità di “anima fragile” ha commosso, l’inutilità di un brano come “stupido hotel” (con presentazioni) ha fatto incazzare, “bollicine”, nel bene e nel male (rito cretinetto e geniale, cantato da tutti con lui che gigioneggia in giro per il palco), faceva ridere e canzoni come “ciao” o “vivere una favola” han fatto godere. Finisce come da quasi trent’anni a questa parte: col lungo solo di “albachiara”, con la gente che comincia a uscire perché la messa tanto si sa come va a finire. Poi, fuori, si rimangia un panino di plastica o una birra, piacevolmente finti e freganti come quelli dell’entrata. Persino mollare ben cinque euri al parcheggiatore abusivo con tanto di biglietto arancione è stato buttato bellamente in ridere.
Insomma…: la domanda è sempre quella. C’è del male a divertirsi? Via con gli insulti.
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