Vestfalia’s Peace

“Loneliness”

2017

Label: Swiss Dark Nights

Tracklist

1. Loneliness

2. Wet Ferns Shine

3. Behind The Court

4. A Sad Image

5. The Muse

6. Before The Storm

7. Farewell

8. I Think I Should Leave

9. The Peasant

10. Tale From The Summer Dew

11. The Apple Boughs

I Vetfalia’s Peace sono Eugenio Auciello, Gianni Caldararo, Duccio Del Matto, Salvatore Pallotta.

Questo loro primo full-length è dato alle stampe a vent’anni dalla nascita di uno dei pochi progetti musicali dark-wave di origini molisane (ma con una presenza toscana al loro interno), i cui albori si rintracciano per l’appunto nel 1997. Un tempo di gestazione molto lungo, si potrebbe commentare, se non fosse che quest’album rappresenta solo in parte la continuazione, non affatto lineare, di un discorso iniziato negli anni ’90: esso è piuttosto l’ultima incarnazione di un progetto che ha assunto diverse forme e connotati negli anni, pur restando riconoscibile, fedele a se stesso, e immutato nello spirito e nell’organico (i membri del gruppo sono sempre rimasti gli stessi).

L’album, che è in vendita in un digipack dalla grafica elegante, è in realtà composto da otto brani inediti e dalla riproposta di tre tracce, le ultime, tratte da un precedente demo auto-prodotto, “The Peasant”, che risale al 2004.

Il genere dei Vestfalia’s Peace è una dark-wave abbastanza classica, dalle sfumature romantiche e tendente al melodico e talvolta all’etereale, a escludere alcune puntate più nervose e ritmiche. Molto curati l’aspetto stilistico-strumentistico e il “colore” del loro sound, il quale, a dispetto della predilezione per suoni piuttosto ovattati e addomesticati da un quasi onnipresente flanger, non punisce né la batteria, al contrario sempre in risalto, né il basso, abbastanza marcato e metallico; un sound che d’altronde non disdegna neanche momenti di genuino chitarrismo (del resto decisamente preponderante negli esordi della band, ancorché oggi più sfumato) o anche più audaci incursioni nell’effettistica elettronica, sebbene poche e controllatissime. Le linee vocali sono spesso messe in risalto, anche per gratificare i testi inspirati. Come nei loro ultimi demo (che saranno menzionati più avanti) la voce maschile si intreccia sovente con quella femminile e con i cori, creando un’architettura vocale molto suggestiva e in alcuni casi di grande impatto.

La produzione è buona, e favorisce un sound che, pur essendo ricercato, non è mai sovrarrangiato, risultando al contrario a tratti addirittura scarno, ma sempre efficace. Ciò esalta, tra le altre cose, il songwriting, maturo e ispirato, con momenti e interi brani di grande e in alcuni casi eccezionale eleganza espressiva e compositiva (“A Sad Image”, “Farewell”, “The Peasant”, “The Apple Boughs”).

Le influenze del gruppo sono abbastanza esplicite, rasentando in alcuni casi la citazione. Quelle dei Vestfalia’s Peace sono infattii sonorità che richiamano apertamente la scena post-punk, new wave, e dark principalmente britannica e “tarda”, cioè della seconda metà degli anni ’80. Il gruppo, in altre parole, non ribadisce granché i canoni sanciti dai padrini del genere (Joy Division, Bauhaus, Siouxsie and the Banshees, e i Cure, quest’ultimi certamente più presenti) durante gli ultimi anni ’70 e i primi ’80, e mostra invece una evidente tendenza a rivisitare la scena per l’appunto più tarda e più ricercata: un nome su tutti, i decisamente presenti e citati And also the Trees (tanto degli esordi che, e soprattutto, del più maturo “Virus Meadow”). Non affatto rare le virate più etereal e dream pop, in cui il canone di riferimento è invece quello delle produzioni ottantiane della 4AD – principalmente Cocteau Twins, This Mortal Coil, e i primi Dead Can Dance –, con accenni in alcuni casi già francamente Shoegaze (Slowdive). Nelle parti più tastieristiche è possibile rintracciare dei richiami ai primi Clan of Xymox e ai loro intrecci di chitarra acustica e sintetizzatori, mentre il cantato, e alcune atmosfere, richiamano talvolta lo Scott Walker meno oscuro del secondo periodo (quello che inizia per l’appunto negli anni ’80). A differenza del loro progetto collaterale La Pietra Lunare (cui si accennerà nelle righe finali di questo scritto), un progetto maggiormente debitore di suoni, atmosfere, e tematiche care alle scene cantautorali e neo-folk nostrane ed europee, l’influenza del folk noir nei Vestfalia’s Peace è marginale. Del tutto assenti, invece, sfumature industrial o EBM.

Tra i pochi difetti del lavoro, si potrebbero menzionare un certo occasionale sbilanciamento dei volumi (ma questa circostanza può anche essere interpretata come una precisa scelta stilistica), e, raramente, lievi dissonanze. Questi difetti, tuttavia, non inficiano affatto la generale qualità dell’album, che rimane molto alta, spesso rasentando l’eccellenza.

Meritano di essere ricordati, a conclusione di questa recensione, i precedenti lavori dei Vestfalia’s Peace, vale a dire i precedenti demo auto-prodotti durante la loro carriera ventennale, che sono “Sleeping After Dawn” (1999), “Fun in a Word” (2000) “The Peasant” (2004 – interamente ripubblicato nell’album che qui si recensisce), e “Tra Mari, Pantani e Ponti Rotti...” (2005). Ciascuno di questi demo, o meglio di quelli non ancora ripubblicati, contiene almeno una gemma nascosta che meriterebbe di riemergere dall’oblio dell’auto-produzione. O quantomeno ciò è quanto si augura lo scrivente, che conosce bene detti lavori – aggiungo una curiosità biografica: ricevetti il primo demo del gruppo, contenuto in una musicassetta che ancora conservo gelosamente, nell’ormai lontano 1998, e posseggo gli altri nel medesimo formato.

Risale al 2015, invece, la pubblicazione dell’album La Pietra Lunare, per l’etichetta Lichterklang, ripubblicato recentemente dalla nostrana SPQR. Si tratta di un album concepito e realizzato da Del Matto e Caldararo, vale a dire da due dei quattro membri dei Vestfalia’s Peace. Un progetto alternativo e parallelo, ma in cui è comunque possibile rintracciare, sebbene diversamente declinato, un comune denominatore tematico e stilistico con i Vestfalia’s Peace – in particolare con la loro incarnazione “demo” più tarda, quella di “Tra Mari, Pantani e Ponti Rotti...” (2005), un demo in cui sono presenti in germe diversi tratti che saranno poi appropriatamente sviluppati con il progetto La Pietra Lunare.

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