I Virgin Black saranno forse più noti al pubblico per la loro appartenenza al filone del cosiddetto Christian Metal (anche conosciuto come White Metal), movimento musicale che mira a far scoprire agli abituali ascoltatori la vera essenza di Dio, senza alcun tipo di filtro da parte della gerarchia ecclesiastica, e che vanta nel mondo già molti esponenti e seguaci, che non per il fatto di aver finora pubblicato due album eccelsi, piccoli e misconosciuti capolavori del doom che rispondono al nome di "Sombre romantic" ed "Elegant... and dying", partoriti dalle geniali menti dei due mastermind Rowan London e Samantha Escarbe.

Ora, a quattro anni dalla pubblicazione dell'ultimo disco e stipulato un contratto con la rediviva Massacre Records, li vediamo nuovamente uscire dagli oscuri meandri della loro terra natia, la lontana Australia (la quale di perle del doom ce ne ha già offerte parecchie), per comunicare al mondo di aver realizzato un'opera magniloquente, strutturata come una messa da Requiem e suddivisa in tre parti, le quali, una dopo l'altra, vedranno la luce in questo 2007. La prima ("Requiem - Pianissimo") esalterà unicamente la dimensione classica del sound della band, mentre la terza ("Requiem - Fortissimo") sarà totalmente, o quasi, scevra da partiture sinfoniche, sterzando verso territori death-doom. Ciò che della trilogia ci è dato di conoscere in questo istante, è il capitolo centrale, "Requiem - Mezzo forte", quello che più degli altri si avvicina ai passati lavori dei Virgin Black.

Chi li aveva già ascoltati probabilmente saprà già, a grandi linee, cosa aspettarsi da queste sette lunghi e strazianti episodi. Chi invece ancora non li conosce non potrà che rimanere ammaliato dalla portata di una simile release e dalla padronanza tecnica del nutrito cast dell'opera. I due leader indiscussi: Rowan London, eccelso pianista e pavarottiano tenore dalla teatralità innata, e Samantha Escarbe, bionda ed esile chitarrista che sfodera dolorose plettrate e assoli strazianti e, quando l'occasione lo richiede, non disdegna nemmeno d'impugnare l'archetto per dar voce al gemito del suo violoncello. I loro fidi aiutanti: Dino Cielo, marziale e preciso drummer, Craig Edis, consenziente spalla di Samantha, e Ian Miller, col suo basso spesso relegato in secondo piano ma indispensabile per scavare solchi negli anfratti più doom del platter, come vuole la tradizione inglese dei primi anni ‘90. Gli ospiti: Susan Johnson, sorprendente e celestiale soprano, il coro di voci miste che innalza liturgiche ovazioni al cielo, e tutti gli strumentisti dell'Orchestra Sinfonica di Adelaide, che danno man forte nel creare un'ambientazione funerea e tangibile nel suo violento spasimo.

I temi classici vagano placidi sulle note di violini, viole e violoncelli e dominano per buona parte del disco per congiungersi lentamente al graffiante riff di Samantha, ancor più tetro che nei vecchi My Dying Bride, ancor più sofferente di quello dei primi Anathema, il cui riverbero è amplificato dalla presenza dei cori in sottofondo. Nel cantato pulito, London si carica di tensione e sembra lanciare, incurante, frecce avvelenate nel cuore dell'ascoltatore, mentre di rado il suo growl devasta qualsiasi parvenza di purezza (sapientemente incarnata dall'eterea Susan o dal dimesso pianoforte) col suo tono catacombale. Summa di tanta grandeur è l'episodio centrale "...And I am suffering", undici minuti apparentemente interminabili in cui si susseguono emozioni, pianti, carezze, strazi, stille di sangue e sudore, gotiche visioni, colori e contrasti. Ma anche la crescente intensità di "Midnight's hymn" (riproposizione di "Drink the midnight's hymn" presente sul debutto), l'esasperato e truce incedere metallico di "Domine" (a sprazzi reciso da sinistre apparizioni d'archi e corali), così come la mozartiana litania metallica di "Lacrimosa (I am blind with weeping)", sapranno guadagnarsi uno spazio rilevante durante l'introspettivo e spirituale viaggio di "Requiem - Mezzo forte".

Di certo non rappresenterà una grande innovazione per il mondo della musica, e nemmeno farà il botto a livello commerciale (nonostante i Virgin Black facciano sembrare i Paradise Lost di "Gothic" dei pivelli); ma non è questo ciò che vuole "Requiem - Mezzo forte", un'opera che desidera d'essere sfogliata pian piano, assaporata nella sua interezza ed in una dimensione liturgica, solitaria, riflessiva ed interiore, un capolavoro funerario di dimensioni titaniche, destinato a pochi. Una leggiadra vergine adorna di sole rose nere che si aggira giocando a nascondino nei labirinti dell'anima, un gelido soffio che spira nelle vene per arrivare dritto all'organo vitale e chiuderlo nella sua morsa, un orologio a pendolo che scandisce le ultime ore dell'umanità, un inno di canti apocalittici, innalzato all'empireo da un'anima solinga nell'ultimo afflato che precede l'ora solenne. Soltanto i moti del cuore (e dell'anima, per chi riuscirà ad abbracciarne l'ottica religiosa) di coloro che si lasceranno coinvolgere dal fascino totalizzante del disco daranno il giusto responso ad una band che, ormai, non può che essere considerata rara ed irraggiungibile nel suo lugubre splendore.

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