Da bambino andavo al mare a Sturla, che era come un villaggio dentro una città: la sua spiaggia era circondata da case ed aveva cinque o sei stabilimenti balneari, di quelli alla buona, non le robe di corso Italia, da ricchi, né l'ambiente da cartolina di Boccadasse, che pure si poteva raggiungere a nuoto da lì. Dopo il mare ed i giochi, dai bagni 'Dalla Vittoria', con le cabine dipinte di rosso e giallo, a volte attraversavamo via del Tritone, tutti in costume da bagno ed a piedi nudi, calpestando il velo di sabbia sopra l'asfalto bollente, ed andavamo sul retro del ristorante "Gianni di Sturla", davanti ai bagni, l'unico posto da scignuri per mangiare a Sturla, per spiare il momento in cui il cuoco gettava nell'acqua bollente l'aragosta viva e poi scappare di corsa quando sentivamo il verso acutissimo del crostaceo che moriva bollito... e via a rompere il belino al barista, alle signore al sole ed al bagnino, tanto ero il nipote del Carlin, un'istituzione a Sturla.


Il padrone del ristorante era padre di uno dei New Trolls, Vittorio, quello bruno, con tanti capelli e le camicie sgargiantissime che sembravano fatte con la tappezzeria della nonna. Alle ragazze piaceva, anche se apprezzavano meglio la bellezza più fine di Giorgio, il bassista, od i muscoli da nuotatore di "Ombra", cioè Gianni, il batterista. Nico, il fortissimo chitarrista con Hendrix nel cuore e con una dentatura equina, non riscuoteva, tra le ragazze, alcun successo, così va la vita. Lo zio ci diceva che ogni tanto capitava u De André, il poeta anarchico, ed erano discussioni animatissime, diciamo così, tra anarchici e marxisti, che finivano poi con quel vinello buono ed il minestrone col pesto.

Vittorio era sempre lì, suonava già nei Trolls ma sbavava per tre accordi da suonare con Fabrizio, e lì Fabrizio chiese, a lui ed a Nico, chitarristi inseparabili, di musicare i testi suoi e di Riccardo Mannerini, marittimo anarchico e poeta istintivo: c'era in ballo "Senza Orario Senza Bandiera", una cosetta, insomma.

Vittorio non era un simpaticone, era cortese ed educato ma freddino fino all'arroganza, i figgeu de Stürla preferivano sfottere Nico o Gianni, coi loro capelli lunghissimi e sempre pronti allo scherzo ed al gioco.


La sera, quando era a Genova, tornava a volte dai suoi, lasciava la macchina sportiva, mi pare una Maserati e dopo cena, in fondo al ristorante, prendeva una chitarra e ne suonava una, con noi bambini reduci da una giornata al mare che lo ascoltavamo da fuori o dall'entrata e Bunny, il pittore-filosofo che gli aveva disegnato la copertina "du paggiassu" di "Senza Orario Senza Bandiera" che guardava il sedere delle signore e signorine tutte intente e chine ad ascoltare u Vittoiu che cantava in ingleise. Entrava Paoli, entrava Reverberi, per dire, entravano altri Trolls, entrava Franz di Cioccio.


Passano gli anni, i Trolls si vedono poco in città, girano in fuoriserie con ragazze da urlo , qualcuna è pure moglie di qualcuno di loro, e belin, se sono refiusi, antipatici. Si dividono e si riformano, è un casino.


Poi, fine anni settanta, vengono al Palasport, nuova formazione, di nuovo vendono dischi a pacchi, nuova musica che ci fa storcere il naso e nuova immagine pulitina e lucidissima.

Ho quindici anni e sto in una minuscola radio "libera" di quartiere, si sa che ho già preso il biglietto per i Trolls e i più grandi ridono e mi dicono "Vediamo se hai le palle di buttarti nel retropalco e scucire una qualche dichiarazione a quei venduti maledetti...".

Mi organizzo. Gigi, il figlio del vicino, fa il militare nei Caramba e l'hanno assegnato all'ordine pubblico al concerto, gli strappo la promessa di farmi passare nei camerini.

Dopo il concerto mi attacco un adesivo della radio alla maglia, trovo Gigi in divisa che mi dà un coppino sulla nuca e fa passare me , mio fratello e due amici nel retro.

Becchiamo Giorgio Usai, il nuovo tastierista baffone, lo conosco di vista e conosco i suoi, lo prego di chiedere agli altri se ci concedono due parole. Entra nel camerino, poi esce e dice: "Poche domande, siamo stanchi e gh'emmu anche famme..."

Ci fiondiamo ed accendiamo il Grundig a cassette col microfono attaccato.

Cerco di farmi professionale come gli inviati delle radio libere della città quando intervistano il sindaco, mi impappino, regolare.

Nico è il più affabile, semplicissimo, gli faccio i complimenti per l'assolo distortissimo alla fine del concerto, ringrazia e ride, beve molto e ride molto, mentre gli altri fan casino. Ricky Belloni, in mutande, grida che questo è l'anno buono, lui, milanese, afferma che l'Inter prenderà lo scudetto, Gianni gli tira un asciugamani bagnato che però raggiunge in piena faccia Giorgio Usai, il baffone.

Nel casino mio fratello tira fuori una copia di "Searching for a land" e la fa firmare a Nico, a Gianni ed a Vittorio. A Ricky, a D'Adamo ed a Giorgio Usai no, loro in quel disco non c'erano.

Vittorio ride e mi dice, benevolo,di farle a lui le domande, ché gli altri son bestie e non sanno parlare. eccheccazzo, di sei proprio Vittorio mi tocca d'intervistare, vabbé, son qua, ormai, abbozzo.

Così faccio, gli chiedo cose scontate, del pubblico, delle ottime vendite, del cambiamento di genere, della sala d'incisione di Carimate, allora una leggenda.

Qui gli brillano gli occhi, vedessi che banco mixer, mi dice, un'astronave, lui che una sala d'incisione a Genova ce l'ha, ma niente al confronto... poi gli chiedo di de André, mi dice che da ragazzino lo stanava al Lido, sotto al sole cocente, per fargli sentire le sue idee per delle canzoni, ed è cominciata lì un'amicizia per la vita. Si annoia, è stanco, altri gli parlano e si distrae, insisto.

Da alcuni particolari in cui scivoliamo capisce che lo conosco, in qualche modo, e vengono fuori le storie di Sturla, per un attimo si scioglie quando gli dico che come cucinava sua madre... manda a salutare mio zio che l'ha visto bambino e mi fa capire che dobbiamo toglierci dalle balle, specie mio fratello che non toglie gli occhi dal basso Fender di D'Adamo e dalla vistosa ragazza che gli parla piano nell'orecchio.

La cassetta dell'intervista fu editata in radio e mandata un paio di volte, poi sparì come i gestori della radio con una ventina di dischi miei e molti di altri collaboratori, puff, tutto sparito in una notte.

De Scalzi lo rividi un po' di volte, negli anni, gestii la riabilitazione della sua figlia minore dopo una lesione al ginocchio, poco tempo prima che lei lasciasse questo pianeta per una trombosi cerebrale che non le lasciò scampo. Così vidi un altro Vittorio, un uomo sperduto, un padre disperato, il viso stanco. Poi lo scoprii gentile, sorridente, sempre sorridente, paziente e comprensivo, un altro Vittorio da quel che ricordavo io.

La musica e soprattutto la famiglia gli diedero modo di reagire alla disgrazia, compose in genovese ed in italiano, compose anche per una squadra minore di calcio di Genova, di cui era tifosissimo, riformò i New Trolls e ri-litigò con Nico, con cui anni prima era addirittura venuto alle mani in pieno concerto, a Venezia.

Si erano odiati e perdonati, rivisti ed abbracciati, poi ancora rimandati reciprocamente a fare in culo.

Ma quando un camionista sparse il carico di mais in autostrada, di notte e Nico, in auto dietro di lui, carambolò più volte da un guardrail all'altro il mondo per i due vecchi compagni riprese le forme giuste e Vittorio, il freddo, l'arrogante Vittorio, portava regolarmente un mangianastri e lo lasciava sul cuscino di Nico, in ospedale, intubato, in coma per più d'un mese, con le canzoni dei New Trolls a basso volume, coi suoi assoli ed i vocalizzi altissimi che lo avevano sempre contraddistinto.

Dopo il suo risveglio, tempo dopo, quando riacquistò un po' la parola, Nico lo rimproverò,: "Belin, però, sempre 'sti niutrolls, almeno mi potevi far sentire i Beatles.."... "Ma guarda che sei davvero il solito stronzo..." Fu la laconica risposta di Vittorio.
Ecco cos'era Vittorio de Scalzi, oltre all'ottimo musicista, arrangiatore, polistrumentista, cantante versatilissimo... un Uomo che, contrariamente a quanto spesso succede, è riuscito a migliorarsi dopo le disgrazie, anziché a peggiorarsi. Le avversità ne avevano addolcito il carattere e da un po' vedevo il suo sorriso non come un evento di circostanza, educato e distaccato, ma come un sorriso sincero di un signore che aveva vissuto a contatto con l'Arte e col Talento, sprecandoli, usandoli, disperdendoli e poi facendone ancore di salvezza per le avversità della vita.
Quando, dopo essere guarito dal Covid, lo pneumologo gli dice che lo strascico sarebbe stato una fibrosi polmonare, gli descrive la cura, senza possibilità di guarigione e gli chiede anche se avesse bisogno di uno psicologo. La risposta, laconica: "Ho bisogno di una chitarra, dottore...". Tanto frequentava i tramonti, lui.
Sconosciuto ai più ma rispettato ed adorato tra i connoisseurs di musica da cinquant'anni a questa parte, lascia questa valle di lacrime solo un paio di settimane dopo il suo ultimo concerto, seduto in carrozzella davanti ad una tastiera polifonica, con l'ossigeno al naso, cantando le sue canzoni con una voce solo appena meno potente di un paio d'anni fa ma ugualmente espressiva e colorata, ancora con un sorriso alla fine del brano.



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