Esiste un degno erede di Miles...? Non perderò troppo tempo a rispondere a questa inutile domanda: NO.
Ma esiste Wadada Leo Smith. E scusate se è poco. In tanti oggi suonano la tromba, in pochi riescono a farla parlare; e ululare; e singhiozzare: Lui è fra quelli.
Leland, Mississippi la sua città d'origine; il Blues dei padri nelle vene, il Jazz e l'improvvisazione nello spirito. Idiota che sono: "improvvisazione" dovrei scriverla con la I maiuscola, quando parlo di lui. Perché improvvisare è qualcosa di sacro, per Leo, è un rito, è un esorcismo carico di ancestrali indefinibili umori. E' uno spazio-tempo in cui tutto si ferma e tutto tace: tutto, eccetto il respiro (vibrante, convulso) del suo strumento; tutto, eccetto linee armoniche capaci di intersecarsi e sovrapporsi, di diffondersi nell'aria come interminabili spirali di fumo. Visioni. Allucinazioni. Psichedelia purissima e non miscelata. In ultimo: estasi. Quiete suprema.
1996: con Tao-Njia si descrive - in appunti sonori - l'esperienza meditativa taoista. Miles è vicinissimo, sì, ma si rifugge dalla più pedestre quanto banale imitazione. Riverberi acuti si susseguono richiamando l'intensità delle prime esperienze elettriche davisiane, ardite polifonie sono descritte dalla magia della registrazione post-sincronizzata; un taglia e cuci di "maceriana" memoria, sospeso anni luce sopra la freddezza dell'atto "tecnico" meramente inteso. Lingue di puro incanto zampillano in progressione, come uscenti dalle mille bocche di una fontana. Dolcissimo disorientamento. Impalpabilità.
E ancora: flauti di bambù, cornette, campane tubolari, vibrafoni, clarinetti, violini e violoncelli. A sfidare, nella conclusiva "suite" di 21 minuti, i dettami storicamente consolidati dell'arrangiamento per orchestra. E' la sfida della frammentarietà impressionistica dell'improvvisazione alla pienezza armonica della sinfonia. Immensità in cui perdersi, senza più ritrovare la strada (esiste una strada...?).
Tzadik l'etichetta, John Zorn il produttore. Non fatemi aggiungere altro.
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