You wanted it, you got it.
Già, ammettiamolo senza alcuna remora, la carriera discografica dei WASP del dopo "The Crimson idol" è stata alquanto altalenante, e se, ascoltando episodi poco riusciti del combo losangelino come i controversi "Kill, Fuck, Die", "Still not black enough" o il pur discreto doppio concept album "The neon god", la vostra domanda più ricorrente è pur sempre stata "rivoglio i miei cari vecchi WASP, quelli sporchi, sinceri e dannatamente heavy", beh, posso benissimo asserire che con la loro nuova fatica discografica a titolo "Dominator", le vostre preghiere una volta tanto sono andate a buon fine.
Fatica discografica, già, annunciato più volte, nonché più volte rimandato negli ultimi mesi, tanto da diventare per alcuni un nuovo caso "Chinese democracy", vede finalmente la luce, a conclusione di un'estenuante tour itinerante che ha toccato addirittura anche l'Italia, il disco della rinascita artistica del combo guidato dall'istrionico Balckie Lawless, quello del ritorno alle origini, a quel suono heavy rock come dicevamo poc'anzi, frontale e, perché no, catchy che aveva in qualche modo contraddistinto i primi passi discografici della band, tanto da far assurgere a quest'opera, tutti i tratti salienti del classico moderno dell'immensa discografica dei nostri. Ebbene si, messi da parte definitivamente perizomi e seghe circolari nonché i testi ironici e dissacratori del passato, i nostri si rituffano ancora una volta in una disamina, oserei dire quasi oltranzista e pungente, della cultura americana, rivolgendo il loro particolare interesse all'aspetto puramente guerrafondaio dell'amministrazione del loro facinoroso presidente, ben evidenziata, oltre che dal titolo del disco, anche dalla cover d'artwork quanto mai esemplificativa, portando a galla critiche e giudizi che a volte, a dir la verità, possono sembrare discutibili ma pur sempre provocatori.
Ma questi sono i W.A.S.P., i veri ed inossidabili W.A.S.P., ed il loro leader, con qualche chilo in più, ma con un'esperienza ed una malizia a livello di songwriting che credo abbia pochi pari, dimostra in più occasioni di aver ritrovato la sua verve artistica primigenia, tornando a deliziarci con una manciata di composizioni melodiche, ma allo stesso tempo violente, proprio come nella migliori delle tradizioni di casa W.A.S.P., un vero e proprio concentrato di hard rock genuino marchiato a fuoco dall'inconfondibile voce nasale del deus ex machina del combo statunitense, ben supportato dalla chitarra tagliente del ritrovato guitar player Doug Blair nonché dalla solidità ritmica dei due Mike, Duda al basso e Dupke alla batteria.
Un disco intenso pregno di momenti topici che tengono sempre e comunque alta l'attenzione dell'ascoltatore sia esso trastullato nel vortice di infinite sensazioni/emozioni partorite da fantastiche composizioni del calibro dell'opening "Mercy", song il cui riffing portante nonché il refrain ricordano molto da vicino la mitica "Wild Child", provate ad ascoltare, e mi saprete dire, o della provocatoria "The burnin man" una vera e propria fucilata metal destinata a diventare ben presto un possibile hit live, o cullato sulle sognanti melodie dell'appassionante "Heaven's Hung in Black" ovverosia sette minuti di pura estasi sonora, divisa fra morbidi arpeggi di chitarra e delicati tappeti di tastiera, e che dire delle sciabolate di chitarre create attorno alla suadente "Teacher" o dell'heavy‘n'roll di "Deal with the devil" che ricorda pur sempre la fantastica "Blind in Texas"?
Si signore, questi sono i veri W.A.S.P., i nostri W.A.S.P. quelli che abbiamo imparato ad amare con passione ed avidità quelli che hanno scandito la gioventù e la spensieratezza di quei non più giovani, e che sono ritornati per ribadire ancora una volta la loro leadership in campo prettamente heavy metal, d'altronde cosa chiedere di più?
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