Sono una roccia di maschio caucasico io. Rambo mi fa una sega circolare. Ma se per puro caso dovessi avvicinarmi a un dislivello che supera i 7-8 metri d’altezza le cose cambiano, chi come me soffre di vertigini sa di che parlo.
Le gambe diventano due budini tremolanti, il cielo e la terra sotto i nostri piedi iniziano a roteare con l’intento d’invertirsi e non siamo più soggetti alla gravità. Questo succede nel giro di due secondi, al terzo subentra l’angoscia di una morte imminente che si manifesta in un paio di litri di sudore gelido. Basterebbe fare un passo indietro per tornare in sé ma riacquistare il controllo degli arti inferiori richiede non meno di altri 20 secondi nei quali vediamo più volte la morte farci le pernacchie.

Le vertigini fortunatamente col disco non c’entrano. C’entra solo la morte. Se nel precedente “King of the beach” regnava un sornione scazzo paranoide qua la psicosi si è estesa alla rabbia impotente degli stati depressivi. Schegge di garage acido s’alternano a stagnanti acquitrini di psych-rock introverso. Toni di rinuncia e afflizione sono esasperati attraverso una rabbia statica, filtrata in modo da poter essere scaricata in musica.
Chissà cosa passa per la mente di Nathan Williams, a quanto pare pacchi d’odio verso il mondo (Lounge Forward), senso d’inutilità con annessa voglia di farla finita (Demons To Lean On), smarrimento totale (Paranoid), solitudine (con Afraid Of Heights che ripete “I’ll always be on my own”); persino gli episodi che possono definirsi allegri (Beat Me Up e Cop) parlano rispettivamente della voglia di farsi picchiare e dell’uccisione di un poliziotto a cui segue uno shampoo e le coccole della mogliettina.

Messa così sembra musica per 14enni repressi con la frangetta e vi assicuro che è così, ma spacca dannatamente. By the way vi sono robe geniali in quest’album come la litania acustica di “Dog”, la sezione corale della titletrack, il cantato lagnoso di “Demons to Lean On”, le continue infiltrazioni surf nascoste sotto il manto lo-fi, lo schiaffo treble-punk di “Sail to The Sun” o la dolcezza insperata di “I Can’t Dream” dove le uniche chitarre pulite diradano una nebbia secolare.

Davvero notevole. Give it a try.

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