"Questo film è un'opera malata diretta da un malato" W.H.

In una sperduta valle desertificata e abbandonata da Dio e dagli uomini (Lanzarote), un gruppo di nani, reclusi in una sorta di prigione esistenziale, si ribella al capo dittatore (anche lui nano). Comincia così la riscoperta da parte del gruppo, di sensazioni ed entusiasmi ormai dimenticati. Da lì, la libertà tanto desiderata si trasformerà in una condizione di anarchica follia impossibile da gestire, sfociando in atti di violenza fisica e psicologica fuori controllo contro oggetti, persone e animali.

Finirà così che il gruppo ormai stremato si convincerà a ritornare nelle proprie celle, al sicuro dalla "troppa libertà" ormai acquisita.

Un film che negli intenti doveva essere un progetto interessante, uscito a ridosso dei moti rivoluzionari sessantottini, ma che alla fine risulta assai statico, noiosetto e poco incisivo. Piani sequenza lunghi e poco significativi, errori di montaggio e dialoghi ridotti all'osso (tanto più in tedesco e sottotitolati in italiano) ne stemperano la forza e ne annacquano il messaggio.

Un film abbastanza atipico per il regista tedesco Werner Herzog (autore per altro di ben altri Capolavori!) che si cimenta per la prima volta con la diversità e l'emarginazione, con citazioni esplicite all'opera di Pasolini. Un film a suo modo, di denuncia contro la rivoluzione del '68 avvenuta pochi mesi prima e che ne profetizza la fine e il "rientro nei ranghi" da parte di un popolo che non potrà rivoluzionare nulla se questo cambiamento non partirà dal singolo individuo.

Una sorta di incubo metaforico dove lo stesso Herzog si augura che "tutti sappiano riconoscere il nano malato che ognuno si porta in grembo".

NB: I riferimenti al Governo Berlusconi e alla reazione nulla dell'opposizione italiana sono non del tutto casuali...

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