E' il 1968.

Mi immagino un giovane Werner Herzog, con in mano il racconto dello scrittore tedesco dell'ottocento, herr Carl Joachim Friedrich Ludwig von Arnim, semi-dimenticato rampollo aristocratico della fervente corrente romantica in corso.

E dev'essere molto avvincente, almeno in alcuni passi, Il folle invalido di Fort Ratonneau, se Herzog decide di ispirarsi a questo breve racconto per la realizzazione del suo primo lungometraggio.

In verità - forse - non dev'essere neanche così avvincente considerato il finale vagamente roseo che prende venature più oscure nel film. D'altronde non s'è mai vista una storia di pazzi dal felice epilogo...

Negli stessi giorni in cui era assorto nella lettura del racconto immagino anche che, al regista, sia capitata fra le mani una fotografia dei primi del 900 del nonno, il sig. Rudolf Herzog, archeologo presso il Castello di Neratzia nell'isola di Kos, in Grecia. Il nonno tra il 1900 e il 1907 si era occupato proficuamente della traduzione di alcune antiche incisioni rinvenute tra i ruderi del Castello, questo era stato edificato in epoca medioevale dai Cavalieri Ospitalieri con il materiale litico trafugato dai templi dei dintorni e lui, lì, ci visse a lungo per studiare in loco quei reperti, nella bella isoletta egea.

Di certo il giovane Werner, non essendo a quell'epoca ancora nato, mai era potuto andare a trovare il nonno qualche giorno al forte. Forse gli era rimasto sul groppone il desiderio di vedere quel posto mitico di cui con buona probabilità avranno parlato durante i pranzi di famiglia, delle mura “coi piedi”, del minareto di Gazi Hassan Pasha e chissà quali altre meraviglie si celavano ancora. O forse - al contrario - era stato lì col nonno, dopo la guerra, ed era rimasto colpito dalla bellezza del luogo e cercava una scusa qualsiasi per tornarci. Per unire l'utile al dilettevole, come si è soliti dire in questi casi.

Fatto sta che la storia di un soldato francese ambientata nella Francia Napoleonica, scritta da un convinto anti-napoleonico dai probabili intenti molto politici, diventa la storia di un soldato tedesco durante la seconda guerra mondiale, in Grecia, a Kos. E la guerra potrebbe essere una guerra qualunque, anche se non lo è. In fondo l'invasione della Grecia da parte della Germania è stata una realtà vergognosa a cui un intellettuale tedesco, nel 1968, potrebbe aver dato qualche pensiero, come una gran pesantezza al petto. Allo stesso tempo assume un significato più profondo e forse di rivalutazione del “militare tedesco”, nel senso che una guerra da qualunque parte la si guardi, è fatta materialmente da uomini comuni, indifesi nella propria individualità violata dall'atto bellico, con gli stessi sogni, bisogni, affetti, ambizioni, paure.

Le congetture si sprecano.

E' il 1942 (stesso anno di nascita di W. Herzog) il teatro temporale durante il quale si svolgono i fatti, ed è estate, ma tutto ha inizio prima, quando il giovane soldato Stroszek viene ferito in combattimento presso Chania, a Creta (presumibilmente durante la Battaglia di Creta avvenuta tra maggio e giugno del 1941).

E' molto grave, ha una ferita alla testa ed è in fin di vita. Una ragazza greca, Nora (nome italiano che significa “creatura che ha pietà”, in un probabile riferimento alla invadenza militare italiana fascista precedente e non meno nefasta di quella tedesca nazista), si prende cura di lui e guarisce. La convalescenza è certo stata lunga, non sappiamo con certezza quanto tempo, ma i due finiscono con l'innamorarsi e lei, ai tempi della nostra storia, parla ormai tedesco.

Per ripagarlo della ferita subita, per misericordia di un superiore, il soldato Stroszek viene mandato presso un forte sul mare (Castello di Neratzia, appunto) con Nora diventata sua moglie. E' incaricato di sorvegliare un deposito di munizioni lì allestito, i suoi compagni sono i soldati Becker e Meinhard, anche loro destinati al forte a seguito di ferite riportate in battaglia.

La loro vita trascorre tranquilla, vivono in una città lontana dagli scontri e dai bombardamenti, anche i partigiani sono delle presenze quasi invisibili e lontane.

Si dilettano in opere di manutenzione del forte, caccia agli scarafaggi, pesca, insegnamento della lingua tedesca ai bambini greci. Becker è un filologo, l'unico studioso del gruppo che trascorre il suo tempo nel forte a decifrare le incisioni greche provenienti dai templi (le stesse che studiava nonno Herzog). L'attività più impegnativa, che coinvolge tutti alla stessa maniera, è la produzione artigianale di fuochi d'artificio con la polvere da sparo rubata dalle munizioni che “custodiscono”. I fuochi d'artificio non vengono mai fatti scoppiare e vengono accumulati all'interno del forte per ragioni “imprecisate”, secondo il volere immotivato di Stroszek che è il “direttore lavori” di questa oziosa attività. Di certo non è un'attività violenta, non da soldati in guerra nel 1942 insomma.

Ma si sa, l'uomo al quale vengano preclusi degli obiettivi soffre e il giovane Stroszek non è da meno, da sempre sognatore (prima di partire per la guerra nutriva grandi ambizioni di viaggi in terre lontane) comincia a soffrire di depressione che si manifesta nell'estraneazione dai suoi compagni e dalla moglie.

Quasi si intuisce che a loro preferirebbe la compagnia di un soldato pianista (lascio a voi scoprire chi sia) che lo lascia pieno di dubbi o di uno zingaro passato di lì per chiedere accoglienza notturna presso il forte. Lo zingaro è un uomo dignitoso ed estremamente affascinante, un po' filosofo, un po' mago e Sovrano di Genti che cambiano continuamente direzione, a differenza di ogni altro – prevedibile - popolo della Terra. La condizione di errabondo gli permette di introdurre sempre nuove esperienze nella sua vita di artista di strada, lui vive alla ricerca del suo “popolo”in solitudine. Tutti lo prendono in simpatia (Eppure gli innominati nazisti, i tedeschi, ormai da qualche anno sterminano gli zingari, ma nessuno dei personaggi del film ne fa parola. Herzog sta prendendo posizione e si dissocia da quanto è stato fatto dal suo popolo agli altri popoli?).

Stroszek a poco a poco matura delle idee, non sappiamo quali. Potrebbe essere la sua vita miseramente vuota che diventa il tarlo nella sua mente? Forse questo è solo parte di un problema ben più grosso. E' certo che a causa di quel “tarlo” inizierà la sua guerra personale, la ribellione contro tutto e tutti: i mulini a vento (si! quelli), il sole, i compagni, gli altri soldati, la moglie e il paese intero divengono il suo nemico. Solo contro tutti. Per sentirsi vivo, almeno un po'. Forse è così.

Bisogna guardarsi le spalle da lui in ogni momento, non c'è un senso apparente alle sue azioni. Un povero somaro ne fa le spese, anticipando di pochi anni alcune celebri immagini di animali morti in Fata Morgana, abbandonati a disseccare al sole... Come successe al suo compagno in quello sfortunato giorno a Creta...

Spazi vastissimi in cui i pochi personaggi, piccoli come formiche, si muovono e non possono che richiamare alla mente l'ambientazione del Deserto dei Tartari di Dino Buzzati.

L'ellissi è l'espediente cinematografico al quale si ricorre costantemente. Alcune fasi del ricordo (o della follia) sono enfatizzate attraverso la musica con la riproposizione della musica rebetiko - per origine l'equivalente greco del fado portoghese o del blues americano - del compositore Stavros Xarchakos, un artificio che attribuisce a quei momenti una valenza onirica e sublime ma anche - e soprattutto - triste e rassegnata... o disperata.

Non voglio raccontare di più di questa storia che inizia e finisce in una nuvola di polvere, però temo che qualcuno, dopo 52 anni, ancora non l'abbia visto... eppure ci sarebbe così tanto da dire che mi ci sto perdendo. Innumerevoli dettagli mi hanno convinto del valore politico e immensamente umano di quest'opera acerba della poetica del regista.

Un uomo, Werner Herzog, che sa dire le cose al di là dell'apparenza, oltre la superficie.

Anche a soli 26 anni.

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