Che ci faceva nel 1972 l'affermato bassista scozzese Jack Bruce insieme al chitarrista ciccione newyorkese Leslie West ed al batterista canadese Corky Laing? Semplice: il produttore dei Cream, celebre gruppo sessantiano di Bruce insieme ad Eric Clapton e Ginger Baker, era stato un italo americano a nome Felix Pappalardi; all'indomani del loro scioglimento Felix si era dato subito da fare tornando a casa sua, scovando un corpulento giovanotto di Long Island dalla pennata molto pesante e distorta ma con un'attitudine melodica degna dell'incensatissimo Clapton (anzi migliore, a mio gusto...) e organizzandoci insieme un quartetto di proto-hard rock denominato Mountain, nel quale Pappalardi era anche bassista mentre Laing era stato ingaggiato per suonarvi la batteria... Insomma i tre si conoscevano bene, e siccome i Mountain in quel periodo erano sbandati mentre i Cream non esistevano già da più di tre anni e la carriera solista di Bruce andava così così, si ebbe l'idea di questo trio.
Che però non sortì niente di speciale: in quegli anni erano in piena azione e in massima ispirazione formazioni hard rock di inaudito talento quali Zeppelin, Purple, Sabbath, Grand Funk... a tutti questi il terzetto WB&L non fece neanche il solletico, non riuscendo ad eguagliare non dico la gloria dei Cream, ma neanche la discreta e solida fama conquistata dai Mountain. Il progetto ebbe per questo vita relativamente breve: lo spazio di due album in studio e un epitaffio dal vivo.
Questo è il lavoro di esordio, il migliore e il più venduto, al tempo. La voce agra e grintosissima di West e quella più stentorea ed educata di Bruce si alternano dietro al microfono e vi è democratica suddivisione dei compiti pure dal lato compositivo. Si susseguono così canzoni dalla struttura molto diversa ed è facile distinguere i rock'n'roll pesanti e primitivi del grande Leslie dai brani di più ampio respiro, talvolta leggermente jazzati, talaltra arricchiti di tastiere violoncelli e altro, che il bassista ha sempre amato proporre. Manca però un qualche numero di assoluta consistenza, un qualche vertice ispirativo in grado di trascinarsi dietro tutto il lavoro e di farlo ricordare nel tempo. In altre parole, per gente che pochissimi anni prima aveva fatto grandi cose, questa uscita è da considerarsi deludente.
Resta doveroso l'onore delle armi a questi due vecchioni, ex-tossici pionieri del rock blues tuttora capaci di calcare i palchi e riproporre le loro cose e il loro mito, pur se i reiterati eccessi di droga ed alcool hanno già da tempo riscosso tributo da entrambi (Bruce campa grazie a un fegato trapiantato, West ha avuto una gamba amputata a causa del diabete) e per loro si preannuncia una vecchiaia difficoltosa. Questo non è l'album ideale per ricordarli ancor giovani e forti, meglio raccattarsi altre cose precedenti, ma funziona discretamente anch'esso come reliquia di un'epoca irripetibile per il rock.
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