Su questo sito troverete tutte le informazioni riguardanti la variopinta carriera del Serpente Bianco, non mi dilungherò quindi nel raccontarvi le varie peripezie del rettile, i cambiamenti di formazione, le vicissitudini di Coverdale, vi annoierei. Vorrei limitarmi ad un breve commento riguardo al disco più particolare di tutta la carriera degli Whitesnake: “Starkers in Tokyo”.

“Starkers in Tokyo” è un disco nato dalla trista necessità di accontentare il remunerativo pubblico giapponese con una operazione commerciale discutibile, non tanto per la sua natura promozionale ma per le modalità squallide con cui è stata realizzata (scenario asettico, pubblico selezionatissimo, scaletta ridotta alla mezz’ora, etc..).
Detto questo, il mini-concerto si presenta come una piccola gemma nella truculenta carriera del gruppo o come il più grande atto di vanità per una splendida voce… farsi accompagnare dalla sola chitarra. Interessante è l’idea di trovare gli Whitesnake in veste acustica, spogliati dei barocchi fronzoli che ornavano la loro produzione più recente, davanti al fuoco, in una sera d’estate, magari in alta quota sotto un cielo di stelle aguzze.

In purezza un chitarrista discreto (Adrian Vandenberg) e un talento vocale limpidissimo (David Coverdale), valorizzano il cuore nobile di una carriera, tratteggiano le emozioni forti di una vita, ricordando il tempo trascorso e ritrovando brani come “Can't go on” e “Don't fade away” (dall'ultimo “Restless heart”), “Is This Love?” “Too Many Tears” (dall’epocale “1987”) ripensati come piccole confessioni sussurrate al nostro orecchio o l’antica fiaba dei Purple “Soldier of Fortune” dall’interpretazione sentita come non mai.
Così è Coverdale, riflessivo ed intriso di Blues, lascia spazio alla voce, alle vibrazioni, alle proprie emozioni, ricordando solo di lontano, con pochi tratti, le urla di un tempo. In definitiva, viene fuori che questa peculiare mezz’oretta è più che sufficiente a Coverdale per la confessione più intima di una carriera, 30 minuti di classici Rock nel senso migliore del termine, una mezz’ora che può piacere anche, e forse soprattutto, a chi non è avvezzo ai consueti moduli del gruppo, che scoprirà in David Coverdale una voce suadente tra le più “calde” mai sentite e dei brani di grande piglio e profondità.

Nonostante le succitate premesse negative e le restrizioni imposte dalla Toshiba e dalla EMI (organizzatrici dell’evento), il duo si è giocato, a mio opinabile parere, al meglio la possibilità offerta, scegliendo una scaletta ben composta e presentandosi in forma all’appuntamento. Questo disco è un curioso disco acustico che probabilmente meriterebbe qualcosa di più, ma sommando i capricci della casa discografica, il voto più adeguato pare essere un 3 e nulla più.

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