C'era una volta la New Hollywood. C'era una volta un gruppo di registi americani che mutuando il realismo "rivoluzionario" della Nouvelle Vague francese (a sua volta debitrice del neorealismo europeo), ha saputo partorire una moltitudine di titoli destinati ad entrare nella storia, a ribaltare convenzioni, stili, generi: Arthur Penn ha mostrato la nuova sessualità femminile in "Gangster Story" (1967), Hopper ha cantato il trionfo e la morte della controcultura in "Easy Rider" (1969), Coppola ha reso magniloquente la sua autorialità nei due episodi di "Il padrino" (1972, 1974) prima di girare il gioiello low-budget "La conversazione" (1974), Scorsese ha portato sullo schermo la disillusione e il collasso di una generazione con "Taxi Driver" (1976). Tantissimi nomi hanno influenzato e solcato il periodo che va dalla seconda metà dei '60 alla fine dei '70: Allen, Altman, De Palma, Hellman, Nichols, Forman, Polanski, il primo "periodo" di autori come Malick e Michael Cimino, oltre ai due che a parere di chi scrive hanno di fatto posto fine alla NH (di cui erano comunque esponenti) ovvero George Lucas e Steven Spielberg. Tanti altri, troppi, meriterebbero di essere citati.

William Friedkin è un altro dei nomi della "new wave" hollywoodiana che ha saputo scolpire nella storia del cinema due dei titoli più importanti degli anni '70: "Il braccio violento della legge" (titolo originale "The French Connection", 1971) e "L'esorcista" (1973). Dopo questi due exploit Friedkin non ha più toccato quei livelli, sebbene ci siano stati film di assoluto rilievo come "Cruising" (1980) e "Vivere e morire a Los Angeles" (1985). La sua carriera è poi lentamente scesa in un oblio abbastanza inspiegabile per uno del suo talento, da cui va salvato l'ultimo "Killer Joe".

"Il braccio violento della legge" è stato il primo successo di pubblico e soprattutto di critica di Friedkin. Un poliziesco dalla trama decisamente scarna: due poliziotti (Gene Hackman e Roy Scheider) sono sulle tracce di un carico di eroina in arrivo da Marsiglia, Francia. Non ci sono altre sottotrame degne di nota perchè Friedkin basa tutto il suo film sulla ricerca iper-realistica dei mafiosi invischiati nell'operazione.

La grandezza dell'opera di Friedkin sta nell'aver utilizzato in modo innovativo la MDP per innovare anche all'interno del genere: il binomio bene/male, legge/criminalità che da sempre era uno dei perni narrativi del cinema americano, viene quì annientato da Friedkin, che pone i vari personaggi sullo stesso piano. Non c'è nessun senso della giustizia nelle scelte di Jimmy (Hackman). Non c'è legge che tenga in quella "giunga d'asfalto" di cui John Huston aveva già narrato la brutalità. Siamo nell'America sconvolta dal Vietnam, dalle droghe (di nuovo "Easy Rider"), dalla spersonalizzazione. Le solidità etiche e morali vanno a farsi benedire e tutti si mostrano per quello che sono: individualisti rancorosi, collerici, privi di una reale retro-cultura morale. Nella visione di Friedkin non c'è differenza tra chi caccia (la legge) e chi viene cacciato (i criminali). Gli uni sono gli altri e viceversa e il nerissimo, deflagrante e ammonitorio finale sembra essere l'orgasmo definitivo del pessimismo che Friedkin nutre verso l'uomo.

Parallelamente a questa eliminazione di "categorie" il cineasta di Chicago ha costruito il film con una maestria tecnica da tramandare ai posteri. La macchina da presa tallona i protagonisti, li segue con carrellate laterali, frontali e l'impressionante lavoro al montaggio di Greenberg (premiato con l'Oscar) lo rende uno dei più straordinari episodi del periodo. Ogni singolo stacco di montaggio rende perfettamente i tempi dei pedinamenti, degli inseguimenti, delle sparatorie. Lo spettatore è lì, al fianco dei personaggi, immerso nel realismo di Friedkin. Una regia che si fa invisibile ma che è estremamente complessa e funzionale, tanto che la sua influenza è ben rintracciabile in altri grandissimi nomi che sono passati da Friedkin e da questo film: da Scorsese a Michael Mann a Tarantino.

Nella sua glaciale freddezza (sia lodato Roizman alla fotografia), "Il braccio violento della legge" è un titolo che ha fatto scuola e che ha contribuito a (r)innovare il poliziesco. La lucidità clinica dell'occhio indagatore di Friedkin che scava nei meandri dell'uomo, perso in una tentacolare New York asettica e plumbea. Uno degli spaccati più importanti, reali e sentiti nella storia del poliziesco.

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