Finalmente ho letto un libro che non mi è piaciuto.

Lo so, parole strane e, forse per qualcuno, assurde per il capolavoro di William Golding, Premio Nobel per la Letteratura nel 1983. Dico finalmente perchè era da tempo che leggevo solo o bei libri o capolavori assoluti (per chi fosse interessato sono disponibile a fornire una lista degli uni e degli altri). Iniziavo a preoccuparmi del mio giudizio critico, della mia capacità di comprensione, della mia estrema facilità di adattamento.

"Il Signore delle Mosche" non mi è piaciuto, non per la storia che l'autore racconta, ma soprattutto per come viene raccontata. La lettura non scorre, manca fluidità nell'azione e il collante tra molte scene. Ho fatto molta fatica a entrare nel mondo chiuso e isolato del gruppo di bambini/adoloscenti che, sopravvissuti a un disastro aereo durante una fantomatica guerra, riescono a salvarsi su una calda isola tropicale. Soli, senza la presenza degli adulti, il gruppo cerca di riorganizzarsi per soddisfare gli elementari bisogni primari e per cercare una via di salvezza. Tutto sarà inutile, la "primitiva" società di ragazzini si sfalderà in una guerra selvaggia fra clan nemici. Il loro piccolo mondo diventerà il terreno di guerra come quella che gli adulti stavano combattendo a livello mondiale.

L'innocenza dei bambini viene stuprata dal seme del male e della violenza che cresce, capitolo dopo capitolo, nelle loro anime; la crudeltà è insita in ogni loro azione, il sangue e la morte entrano brutalmente nella storia. S'insinua il sovrannaturale, la paura della "bestia", il belzebù incarnato nella testa di maiale infilzata su un palo in mezza a una radura della foresta tropicale. La democrazia, come spesso accade, è bella a parole ma nei fatti viene superata dalla volontà di dominio che si manifesta nelle figure fondamentali di Ralph (il democratico) e Jack (il dittatore).

"Il Signor delle Mosche" è un libro che mi ha completamente spiazzato. L'ho sempre associato a un "classico" per ragazzi, a una lettura da "scuola superiore". Mi son ritrovato in mano un romanzo profondamente sociologico e antropologico, pessimista e quasi apocalittico nel finale. L'uomo è irrazionale, istintivo e feroce come il primitivo che, uscito dal suo rifugio nella grotta, andava a caccia per procurarsi il cibo.

Libro brutale dove l'ancora di salvezza finale è troppo timida e isolata per liberare dal peccato e per riscattare le anime macchiate indelebilmente dal sangue. Il libro forse accusa l'età, decolla solo negli ultimi capitoli, nella spaventosa "soluzione finale", nella caccia indiscriminata.

Il male e il bene si affrontano, come è sempre stato e come sempre sarà. Chi sarà il vincitore è facile, ahimè, immaginarselo.

Carico i commenti... con calma