Leggiucchiato da studente liceale, riletto quasi vent'anni dopo da professore, sicuramente Il Signore delle Mosche non lascia indifferenti. Ai tempi sembrava qualcosa di immenso, come la rivelazione del male assoluto, una dimostrazione scientifica: il nero che entra nella tavolozza ufficiale dei sentimenti, addirittura quella dell'istituzione scolastica. La ferocia come attore protagonista della storia. Non che manchi il pessimismo nei programmi ministeriali, anzi le letture di Italiano sono spesso umbratili e disamoranti, in generale, ma qui credo si vada ben oltre il semplice male di vivere, la malinconia di una vita triste.

La violenza e l'arbitrio del tiranno come scelta deliberata, come vocazione fanciullesca del genere umano. Un colpo di stato concepito lucidamente e perpetrato ai danni del potere legittimo e riconosciuto. Non starò qui a ribadire l'ovvio (che cosa rappresenti la conchiglia, il fuoco, gli occhiali di Piggy etc.) ma vorrei soffermarmi su presunti schematismi e sottili filigrane che da una parte possono aver sminuito un poco il successo e l'eco di quest'opera nel panorama della critica italiana, e dall'altra la rendono invece una lettura ancora pregna di importanza e che riverbera i suoi significati secondo traiettorie non così banali.

Riletto alla luce dei fatti di oggi, questo libro sfolgora di un'attualità sconcertante, che prosegue ben oltre i riferimenti alle dittature del ventesimo secolo. Perché la necessità della violenza, la “frenesia della strage”, “il sangue e il terrore” sono giustificati subdolamente dal capo della tribù: “Questa testa è per la bestia. È un dono”. Una bestia che non muore mai, allora “faremo meglio a compiacerla, sempre. Non si sa mai cosa potrebbe farci”. Lascia sgomenti ritrovare nelle parole di Jack l'essenza di tanti discorsi politici che vengono fatti ancora oggi, soprattutto oggi. La paura è il motore di tutto quanto, la fobia irrazionale per ciò che non si conosce.

Un paracadutista impigliato nel folto dei rami diventa un demonio. E quello che siamo disposti a fare per scongiurare la sua ineluttabilità (che ci prefiguriamo nelle lunghe notti del nostro pensiero razionale) ci rende capaci di tutto. Tutto è legittimo quando il terrore muove il nostro agire. Ed è significativo che questo sia figlio di un travisamento, di una fake news, di una lettura tendenziosa della realtà che poi viene perpetrata nel chiacchiericcio centrifugo dell'opinione pubblica. Alla fine quella del male, della ferocia per resistere a una presunta nemesi, è una necessità che abbiamo dentro, più che il portato di un fatto reale. E quindi ciò che vediamo è sempre passibile di interpretazione, la visione si fa allucinata e la bestia è ovunque. È addirittura Simon. Cristo viene ucciso perché scambiato per un'emanazione del demonio.

Non tutte le grandi metafore del libro sono scolasticamente dipanate, c'è una ricchezza di ombreggiature che mirano a uno studio più raffinato dei motivi del male, non lo affermano arbitrariamente, ma lo dipingono in uno scenario intricato, gravido di spunti psicologici. La democrazia (Ralph), lo stato, la politica con i suoi tecnici e scienziati (Piggy), con i suoi simboli più o meno consunti (la conchiglia), con i suoi miti di civiltà (fare fumo per essere salvati) che non sempre sono compresi dal popolo. Tutto questo mondo dell'idealità non è esente da colpe, anzi, è parzialmente responsabile dello sviluppo e del successo della ferocia totalitaria (Jack). Nei limiti delle forme di governo c'è il seme della ribellione, perché esse sono formalmente ridicole e farraginose (parla solo chi ha la conchiglia) e si rivelano fragili e inefficaci di fronte alle paure (la bestia), succubi della stessa irrazionalità che pervade il popolo (i piccoli), costrette a legittimare le parti violente della società (i cacciatori). Lo stato esige moltissimo (tenere il fuoco sempre acceso) ma non sa garantire una prospettiva sicura, né rispetto ai propri obiettivi (essere salvati) né rispetto alle minacce tentacolari dell'imprevedibile e dell'irrazionale.

Il mondo del 2021 non è tanto diverso, se ci pensate.

Il pensiero logico di Ralph si arresta con improvvise chiusure del sipario. Il suo ego non è meno feroce di quello di Jack, e la sua legittimità democratica non viene sempre ribadita attraverso lo sfoggio di carisma (la conferma elettorale) ma spesso poggia su un autoritarismo (“il capo sono io”) che dimentica la necessità di essere anche autorevole. Il voto che ha eletto Ralph diventa pretesto per imporsi in modo fin troppo tranchant sul sentire popolare. Ma quando Jack apre una crisi parlamentare, si scopre non avere abbastanza deputati dalla sua parte per salire al potere. Allora l'alternativa unica all'inefficacia delle politiche ralphiane sta nel ripudiare in toto il sistema democratico e proporne uno che sia radicalmente altro.

Sarebbe fuorviante pensare che si tratti di una lotta tra bene puro e male puro. Non a caso quando il leader incontra (spoiler!) l'ufficiale di Marina alla fine del romanzo e questi gli chiede se hanno ammazzato qualcuno, il ragazzo risponde: “Solo due. E i corpi sono spariti”. Per preservare la propria esistenza, lo stesso Ralph (lo stato democratico) abbraccia la ferocia: “Tastò la punta della lancia col pollice e sogghignò, vendicativo. Avrebbe infilzato chiunque ci avesse provato, come un maiale, e chissà che strilli”. Lo stato è colpevole di aver creduto ai miti irrazionali della parte selvaggia che risiede in noi. Ha mangiato la carne di quei maiali, ha visto con occhi di follia quella bestia che bestia non è, ha danzato sotto la pioggia per chiedere la fine della tempesta, ha preso a bastonate (forse) quel Cristo che voleva portare un Credo differente, ha riconosciuto il suo delitto ma poi, autoindulgente, si è perdonato. Infine, ha preteso di affrontare il tiranno con le sue stesse armi, lance e morsi, botte e istinto animalesco. Non sta tanto a piangere le morti, Ralph, perché la sua è un'ossessione, l'ossessione del potere che logora molto anche chi ce l'ha.

Si potrebbe dire molto molto altro, ovviamente non basta una recensione per esaurire gli spunti. La lettura di questo classico scorre facile, ma si percepisce che a ogni passaggio c'è un significato più grande da scovare e, se alcuni possono risultare ovvi, abbiamo visto quale sia la ricchezza di sfumature non banali della grande metafora di Golding. Autore che tra l'altro dimostra una freschezza di scrittura davvero notevole, indimenticabili ad esempio le scene della grande caccia alla scrofa (“posseduti da una frenesia orgiastica”, “Jack trovò la gola, e il sangue caldo schizzò sulle sue mani... Le farfalle danzavano ancora”), il contrappunto squisitamente psicologico di ogni passo è gentilmente offerto alla nostra attenta lettura, ma senza perdere nulla della freschezza narrativa di fondo. Forse il difetto, minimo, di questo libro sta nel suo essere tutto estremamente essenziale. Non c'è una parola che non sia fondamentale, nella terrificante cattedrale nera che Golding costruisce su quest'isola, un tempo adamantina e ora in fiamme.

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