Windy & Carl scrivono musica fortemente abbarbicata all'elemento terra per quanto l'uso di droni iperdistorsioni sovraincisioni porterebbe facilmente a catalogarli come tardi epigoni di una space - musica aggiornata agli anni '90. E' vero le influenze specie krautesche sono, forse, notevoli, tempi dilatati ansia metafisica aggiustamenti elettronici però il referente vero sono le messe bianche, le liturgie divine dei Popol Vuh. Ma se di là l'esplorazione dello spazio cosmico era una quest del divino, una perlustrazione per tastare la divinità che si risolveva in una trascendenza radicata nel soggetto (dio è dentro di noi), Windy & Carl sembrano escludere derive escatologiche per un'animistica immanenza, la natura e l'uomo - prodotto naturale che celebra una lode alla terra come essere divino.

I lunghi brani del disco sono traduzioni sonore del presente, sono quasi registrazioni del suono di determinati luoghi della terra. Concerti di alberi acque città cieli non sono rituali di uno sciamanesimo visionario squassato da spasimi in cui la divinità si mostra terribile e perennemente mistificante. che en passant non appartiene al duo, ma feste adoranti in cui se c'è turbamento esso è cullato dal pulsare di fondo della terra-vita. La tragica visone del divenire del tutto si stempera nelle perennità delle leggi di natura. Emerge forte il sospetto che sia insanabile però la frattura uomo-natura, in "You" dove è prevalente la voce umana si assiste alle atmosfere più oblique, quasi sinistre, dove sussiste un barlume di coscienza sembrano dirci i due è quasi implicito il senso dell'effimero dell' instabilità. Se ci si affida agli affreschi sonori però essi instillano non tanto un senso di quiete quanta una compenetrazione della psiche umana nelle maglie della natura, una partecipazione alla infinita immanenza.

Con quest'album Windy & Carl hanno voluto recuperare gli elementi panici insiti nell'uomo inserendo la peritura esperienza umana nell'inossidabile solidità del cosmo elevandola al rango di insostituibile manifestazione del divino tanto più grande, l'umanità, quanto più transeunte.

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