Proprio come la dualità che innerva la texture rappresentativa della new wave, la sua irriducibile Gefüge, così anche 154 dei Wire specialmente ascoltato oggi, dopo la sua difficile sedimentazione nell'immaginario collettivo, svela la sua innegabile, consustanziale dimensione dicotomica.

Da un lato il capolavoro emerge come anamorfico dispiegamento "materico" (complice l'annichilente allure plastico del sound del quartetto), come dilagante e sinestetica immersione del punk nella sperimentazione industriale. Dall'altro come programmatica operazione di svecchiamento e rifondazione del rock, come lucida inferenza metalinguistica. La sua "anima" ermetica si respira grazie a quella qualità, che potremmo chiamare iperrealismo pervasivo e mai invasivo, compostezza austera, nessuno spreco di note, in virtù della quale ogni tratto, ogni segmento del lavoro rimanda ad una precisa e convincente idea di percezione del sensibile che, seppur sopra-empirica e ultra-realistica, è perfettamente sovrapponibile a quella fenomenica.
L'arditezza demiurgica, l'assoluto manipolatorio (la profusione abissale delle dissolvenze incrociate, l'uso puntiforme del dettaglio significante) diviene l'assoluto naturale. Lo schermo postmoderno, trova in questa musica la più antonomastica delle concretizzazioni.

154 è lo Zeitgeist a basso grado di formalizzazione, il punk trattato in una seriale officina del bric-à-brac, caravanserraglio dell'eteroclito, 154 generazioni schiave della materia caduca. Stupisce per la sua efficace e compatta impressione di realtà, stupisce anche per l'ariosa libertà delle sue sperimentazioni, per la glacialità dirompente delle sue cadenze, per il vigore pagano delle sue figurazioni. Suprema e definitiva dichiarazione di poetica, lambiccata cogitazione autoriale, sconcerta anche per la generosa dovizia dei suoi referenti culturali: un po' declinazione cyberpunk, un po' variazione teorica sul romance di Lang, 154 è un'equorea anabasicon delle massicce dosi di mistica Stirneriana e un affastellarsi di echi edipici. Ma è soprattutto un tentativo estremo di dare vita, per il tramite di un cuore di tenebra, ad una musica in bilico fra ambizioni decadenti e smisuratezza aliene, fra anti-spettacolarizzazione virtuosisitica e grandeur intellettuale. Un corpo solido e prismatico cui non nuocciono, nel metraggio attuale, le divagazioni psicologistiche e la potente suggestione junghiana legata al concetto chiave di ombra.

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