Così, con i suoni alieni e distanti di assurde distorsioni, nelle impossibili gradazioni di nero della notte immutabile e assoluta, tramite le atmosfere disturbanti ed estranianti di un depressive black metal dagli accenti febbrili e malati, i francesi Lhükkmer'thz, Lord Naggaroth e Cypher dipingono questo affresco del Vuoto, terrificante nella sua estrema lucidità.
Cos'è Wolok?
Wolok è la massima rappresentazione del cancro nero che da secoli rode il mondo; Wolok è il figlio mostruoso e deforme del relativismo imperante che ha ucciso la realtà oggettiva; Wolok è la schizofrenia dell'Io moderno; Wolok è la torturante conseguenza di una vita prolungata oltre i limiti imposti dalle leggi della natura; Wolok è la vittoria dell'artificio sulla carne; Wolok è l'emblema dell'umanità collassante su se stessa; Wolok è consapevolezza e desiderio della fine imminente.  Wolok è Assenza. Wolok è Vuoto. Wolok è il futuro. Il nostro futuro.
Una profezia che la band racconta tramite un annichilente percorso che ha inizio con una perla d'arte scura e perfetta quale "A Virtual Black Hole Called Wolok". Il suono sembra provenire dai confini estremi dell'universo, dagli abissi dimenticati dalla creazione, dove la luce non è mai arrivata. E' qualcosa di profondamente alieno, di spaventosamente Altro, quello che le chitarre di Naggaroth riescono a trarre dalla manipolazione di una manciata di note ripetute sino allo spasimo; è terrificante come queste sei corde possano partorire dissonanze tanto paurosamente estranee. Lo dimostrano pezzi come "Nihil", in cui il riffing produce qualcosa che non è rumore e non è melodia, ma solo l'urlo disperato di una mente pensante dispersa nelle incalcolabili distanze di firmamenti senza stelle; e lo confermano i malati arrangiamenti della mostruosa fanfara "Universal Void", che si apre su toni quasi punkeggianti, per sfociare in un gorgo sonoro ossessivo e caotico.
Terribili nella loro follia risultano anche i giochi tra voci ultrafiltrate e disturbanti tappeti tastieristici, che si rincorrono per tutto l'album, ammorbandone le assurde strutture, ma che spadroneggiano sopratutto nella xasthuriana "Intelligence Swallowed".
E' da notare, infine, il sapiente uso che viene fatto di una drum machine dai suoni poverissimi e ossessivi, che interviene con sfuriate martellanti ad appensantire le tracce, con un tocco di inquietante artificialità dagli accenti industrial che permea l'intera composizione. Tale apporto risulta fondamentale nella già citata "Nihil", ma anche nella malatissima "Oblivion", in cui l'introduzione dell'elemento artificiale è supportato da una tastiera allucinata riproducente i suoni provocati dal malfunzionamento degli assurdi macchinari di qualche aliena tecnologia. Caratteristica, quest'ultima, presente anche nell'unico pezzo strumentale dell'album, significativamente intitolato "Last Breath": l'ultimo respiro della Vita è filtrato e distorto da una macchina, che continua a funzionare senza scopo, testimone idiota eternamente narrante la misera e appropriata fine dell'umanità.
Parlando ancora del messaggio promulgato, si evince come questo disco voglia essere la risposta cinica, estrema e sorprendentemente efficace non solo a chi taccia determinati generi musicali di pochezza ideologica, ma anche a chi ne critica i tanto bersagliati contenuti (nell'ascoltare gli incipit "stupidamente" allegri ma subdolamente inquietanti di "Oblivion" e della title track viene da pensare a una sottile ironia della band nei confronti dei detrattori). I Wolok offrono infatti una visione del mondo e della vita che risulta essere, alla luce dei fatti, considerate tutte le varianti, calcolata ogni probabilità di mutamento, l'unica possibile.
Per concludere "Universal Void" è il colpo che trancia le gambe a quanti tra noi sono ancora ammalati di fiducia nell'essere umano, e si beano del palliativo sogno di un futuro migliore.
Il punto di non ritorno è raggiunto, il declino irreversibile è iniziato.
Se un Dio esiste, cercatelo nelle immense vacuità dei vuoti interstellari; se la speranza sopravvive, trovatela nel freddo eterno degli spazi siderali.
Consapevole dell'inutilità della vostra missione, io mi siedo qui, con un sorriso sulle labbra, ad aspettare che tutto abbia fine.


Dedicata a un saggio

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