E' da un po' di tempo che gironzolo su DeBaser, spulciando le solite recensioni ed uscendo raramente allo scoperto (il mio bilancio si limita a una recensione dei Gong, una degli Inti illimani, un mattone di monografia giovanile su "Blood Sugar Sex Magik" e una dozzina di commenti fuori tempo massimo). Quei pochi dischi e film che mi entusiasmavano erano già degnamente recensiti, e comunque non mi azzardavo a distruggerli. Mi ero rassegnato, insomma, a ‘guardare e non toccare', quand'ecco che, scorrendo la filmografia di Woody Allen, vedo che manca "Pallottole su Broadway"! Ecco un'occasione d'oro, mi sono detto... anche se poi ho pensato bene di sprecarla stando qui a raccontarvi la storia della mia vita.
Premetto che adoro Woody Allen, e che ho visto buona parte della sua produzione. Non faccio parte della scuola di pensiero che vuole il Woody Allen degli anni novanta già 'bollito', ma piuttosto di quella che assegna tre stelle (e si diverte) alle commedie senza pretese ("Scoop", "La Dea dell'Amore", "La Maledizione dello Scorpione di Giada") e quattro stelle a film più riusciti come "Match Point", "Harry a Pezzi"... e "Pallottole su Broadway".
Volendo ragionare per 'filoni', "Pallottole su Broadway" è consigliato per chi ha apprezzato "Accordi e Disaccordi": un altro ritratto di artista, un altro tuffo nel passato, nell'America tra le due guerre di cui Woody è innamorato. Rispetto a quest'ultimo, comunque, si distingue per l'assenza del celebrato impianto mockocumentaristico a favore di una narrazione lineare e di una sceneggiatura più consistente. Lo scenario è la New York del '29: la New York, appunto, dei Gangsters e di Broadway.
Un autore giovane, idealista e un po' bohémien (John Cusack), dopo aver visto naufragare i suoi primi due lavori in mano ad altri, è deciso a seguire di persona la sua ultima commedia. Il produttore non è d'accordo, finché un boss decide di finanziare la commedia per dare una parte alla sua donna, una ballerina di fila con pretese da signora ma modi e voce da pescivendola. Nasce così una tipica situazione di contrasto, resa bene dal titolo dell'opera, che garantisce una serie di gag e battute spassose (come il boss che chiede, geloso, alla sua Olive: «Chi è questo Amleto? Abbita in zoona?»).
Se alla pupa del Boss si aggiungono una star egocentrica ed istrionica (Dianne West, ovvero oscar), un attore ingordo di dolci e di sesso, un'attrice mezza matta e un tirapiedi del boss a dir poco sorprendente, è facile immaginare l'atmosfera delle prove, tutte descritte con frenesia, sempre sull'orlo della crisi di nervi (come Allen e pochi altri sanno fare). E a questo punto, quando il film sembrerebbe in un vicolo cieco, o quantomeno su dei binari prevedibili, nascono delle storie parallele che mettono alla prova il giovane autore in ciò che gli è più caro: l'amore e l'arte, ovvero la sua donna e la sua commedia. Anticipo che delle due cose ne salverà solo una; ma non senza altre sorprese, altri dialoghi brillanti, e il più bel finale che abbia mai visto girare a un regista ‘bollito'.
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