C'è questa donna, il nome non vi deve interessare. È ancora piacente, lo testimonia la prima inquadratura molto stretta. Un signor fondoschiena, specie se tiene conto del fatto che è più vicina ai cinquanta che ai quaranta. Caratterino molto speziato e colorito per un linguaggio ed un modo di fare non proprio da Eton. Ed infatti siamo in Canada mica in Inghilterra. Dove di preciso? Non vi interessa. La protagonista di questo paragrafo non ha molti soldi, ma in compenso un sacco di problemi.
C'è questo ragazzo adolescente, ma che bravi: avete capito senza che lo debba scrivere. È un vero casino, un vulcano con il mal di pancia. Pronto ad esplodere con violenza e senza preavviso per un nonnulla: il nome della malattia come avrete sagacemente inteso, non vi interessa. Siamo alla seconda scena e ha appena appiccato un fuoco in ospedale dove era ricoverato e ora il suo compagno di reparto non è che stia troppo bene.

Il regista, il nome non vi dovrebbe interessare, ha utilizzato tecniche di riprese particolari, proprio in modo simile al quale in cui ho cercato di scrivere nei due paragrafi precedenti. Le immagini, infatti, sono girate in un inusuale, angusto e stretto formato 4:3 che rende difficile fare in modo che due persone possano stare nella stessa immagine. Un modo originale per evidenziare tramite inquadrature, la titanica difficoltà di questa madre impegnata ad educare e domare un figlio impossibile. Un cavallo imbazzarrito.

Lei e lui sono persone scontrose, irascibili ma al contempo fragili, bisognose di aiuto reciproco e fondamentalmente romantiche: si amano e si odiano follemente vivendo in maniera intensa ed esagerata rendendo il quotidiano una folle corsa su una strada stretta e senza guard rail. Nella maggior parte dei film che trattano il rapporto genitore/figlio uno dei due personaggi si piega al volere dell'altro e ne subisce le conseguenze impietosendo il pubblico in modo progressivo e crescente. Questa madre non fa parte della categoria e, pur volendo aiutare il proprio figlio, ha una personalità talmente forte che uno spettacolare scontro, pregno di malinconia, frustrazione, orgoglio e rabbia è inevitabile.

Forse è per questo motivo che il regista introduce nella trama del film l'altra, la vicina di casa: balbuziente, apparentemente remissiva e tutta casa e chiesa, alla fine fungerà da collante. La cartilagine tra tibia e femore atta a lenire lo scontro tra le ossa ogni qualvolta una spira della sceneggiatura fa muovere l'opera. Il film, specie nella fase iniziale, gode di un buon ritmo ed alterna momenti di ilarità e leggerezza ad altri di scontro totale, violenza e dramma. In modo progressivo, quasi impercettibile, le risate diventano sempre più rade per indurire la pellicola fino renderla uno spesso strato di cemento armato.

Per cercare di scuotere lo spettatore, fino a sconvolgerlo nel finale, l'autore forza la sceneggiatura proiettando la storia in un futuro prossimo, il 2015, creando in tal modo un solido appiglio per assestare l'ultimo montante. Definitivo. È un film molto forte, ben interpretato, capace di commuovere senza impietosire e scadere nel melenso e retorico. Mommy fa pensare e lascia il segno: per tutti questi motivi, e altri che forse non avrò colto, vi consiglio di andare a vederlo.

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