"Verso la fine del 1979 stavo facendo alcuni film, ma le colonne sonore stavano diventando per me più interessanti delle immagini. Sapevo che chiunque poteva crearsi il proprio disco, non era costoso. Dissi a Barbara Ess, che viveva al piano di sopra del mio stesso palazzo e che aveva più esperienza in queste cose, che volevo fare un disco. Lei era interessata a quella che chiamava "small music" e propose di lavorarci assieme"
Da queste parole si capisce tutta l’estemporaneità del progetto Y Pants: tre donne di New York, Gail Vachon (tastiere, piano giocattolo, voce), Barbara Ess (ukulele, basso, voce) e Virginia Piersol (percussioni, voce), già attive nel sottobosco artistico della grande mela soprattutto con lavori di fotografia e video, che decidono di cimentarsi anche in una breve avventura musicale. Quello che ne vien fuori è di una naivete irresistibile; poco dotate dal punto di vista tecnico, ma fornite di grande spirito creativo e sensibilità artistica, riescono incredibilmente a creare un rock (senza chitarre) originale e femminile, ovvero senza scimmiottare mai quello dei colleghi maschi.
La musica "giocattolo" delle Y Pants si fondava su uno spiccato senso dell’improvvisazione, su melodie stralunate e mai banali spesso cantate in coro e sorrette da arrangiamenti minimali e semplici di grande effetto straniante, quasi che a suonare e a cantare fossero tre Alice, appena tornate dal Paese Delle Meraviglie, che si trovano ad affrontare il mondo normale e quotidiano con lo stesso senso di smarrimento e di angoscia. Questa raccolta definitiva rappresenta tutta la rarefatta, ma eccelsa, discografia del gruppo: un unico Ep (prodotto da Glenn Branca), un unico singolo, un unico album ("Beat It Down" del 1982 prodotto da Wharton Tiers), più una traccia fantasma.
Difficile trovare i brani migliori di un disco che non presenta nessuna caduta di tono: dalle atmosfere mediorientaleggianti di "What Do You Take Me For?" alla rilettura sbilenca e spiazzante di "Off The Hook" dei Rolling Stones, dal girotondo infantile di "Beautiful Food" al dadaismo di "Beat It Down", dal ritmo sinistro ed incalzante di "Love's a Disease" fino alla terribile condanna del mondo maschile di "That's the Way Boys Are".
Un disco pressoché ignorato dal pubblico e poco considerato dalla critica, ma ciononostante di grande valore, un must per tutti quelli che amano la New Wave più fantasiosa e il rock femminile in generale.
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