Chiaro, un non voto è di per sè un voto, soprattutto a un live. Ma qui si tratta di non voler sparare sulla croce rossa, o meglio ai moribondi che trasporta. E' un non voto nel rispetto della Storia e della Leggenda, quella cui gli Yes hanno dato vita e spirito, nell'arco di decenni, è che un voto necessariamente altissimo tra periodi da 10, da 5, da 15 e da 2. A proposito, non sarebbe  - già da un ventennio - l'ora di smettere?

Ma detto ciò, a un'età media vicino ai 70, il quartetto Howe-White-Squire-Downes, più il neo-cantante Benoit David, si presentano in un Teatro Smeraldo pieno di aspettative e ammirazione, e pronto a perdonare gli inevitabili (o forse evitabilissimi) sfracelli prodotti dal tempo. Non basta un Howe performante e uno Squire volenteroso a coprire le macerie di un passato meraviglioso. Non è sufficiente nemmeno l'amore a nascondere l'inqualificabile prova 'canora' (la radice in questo caso è "cane", non "canto") di Benoit David, il più giovane, che come nuova leva è chiamato a creare e non distruggere. Peccato per l'assenza del figliol prodigio di Wakeman. Piove sul bagnato, ci si mette anche un'acustica pessima, e non aiutano le canzoni del nuovo album.

Standing Ovation alla Storia, e a chi l'ha scritta. Ma il piacere arriva solo al termine del concerto, infilando nel lettore cd "Close to the edge" prima e "Fragile" dopo, per un lungo e insoddisfatto ritorno a casa.

Alan White (batteria): VOTO: 5 Già dalle prime battute di "Yours is no disgrace" si capisce che le cose non vanno (e non andranno) come dovrebbero. I tempi arzigogolati e irregolari risultano semplificati, terribilmente impiattiti, totalmente privi di quel brio e di quel genio che fu. A tratti è evidente la resa, si riscatta con "Heart of the Sunrise". Consiglio: un bell'orticello, non tanto grande, e attenzione ai movimenti bruschi. Imbolsito.

Chris Squire (basso): VOTO: 5 Brillante, volenteroso, il rock scorre ancora nelle sue vene e si destreggia bene nonostante i 63 anni. Penalizzato dall'acustica, viene colto spesso da smania di strafare. Terribile il simil-balletto su "Starship Troopers", peggio come riesce a distruggerne la melodia e il crescendo finale con dei colpi di ascia sulle corde - che peraltro riesce anche a mancare. Pensionabile.

Geoff Downes (tastiere): VOTO: 4 Ha 17 tastiere distribuite su 3 piani, a cui nemmeno arriva. Non è esattamente un gigante e la scelta della giacca napoleonica rossa fiammante non lo aiuta, assumendo le sembianze di Mammolo vestito da Cappuccetto Rosso. Un costante sbuffo malizioso di aria muove la sua folta chioma, tanto bianca da sembrare ossigenata, o tanto ossigenata da sembrare bianca. Si muove con l'eleganza di un lumpa lumpa. Imbarazzante l'esibizione alla "pianola" nel gran finale di "Starship Troopers", in cui ammicca minaccioso il pubblico con uno sguardo omicida. Il suo viso ricorda Donatella Rettore truccata da Tim Burton. Ingessato.

Steve Howe (chitarra) VOTO: 8,5 A vederlo sembra uscito da "Mars Attacks", e a sentirlo si ha la conferma che è davvero un marziano. L'impressione iniziale è che anche lui sia sulla stessa barca dei compagni, e che qualche nota di troppo si perda, o non sia lei. Poi però sfodera una prestazione d'eccezione. Suona tutto e bene, arrivando a imbracciare due chitarre e suonarne una terza nella stessa canzone. I suoi dieci minuti di solo, in cui interpreta magistralmente "The Clap", sono il punto più alto, o forse l'unico, dell'intera esibizione. Crea apprensione quando si piega sulle ginocchia lasciandosi trascinare dal momento, si ha la paura che possa rimanere per sempre in quella posizione. Presente.

Benoit David ("voce") VOTO: 1 Preghiamo il signore che Jon Anderson non abbia mai modo di assistere a una sua performance. Caro Benoit, hai avuto la fortuna di avere una voce - vagamente, molto vagamente - simile a quella del divino Jon. Hai avuto il privilegio - immeritato - di entrare a far parte di una delle band più mostruosamente prestigiose della storia del rock. La sua esibizione è semplicemente penosa, arriva a far mugugnare un pubblico conscio di essere di fronte alla Leggenda. Non lo aiuta essere un ciccione con la stessa virilità di Alfonso Signorini colto in disabilléé nella stanza da letto di Lele Mora. Se la cava meglio sulle canzoni del nuovo album, scritte su misura sua, e che però fanno cagare. Frustrante come manchi l'80% delle note, anche quelle più facilmente raggiungibili. Disarmante come passeggia e declama sul palco alla Katia Ricciarelli mentre perpetra l'olocausto delle pietre miliari del Progressive Rock, da "Yours is no Disgrace" a "I've seen all good people", da "And You and I" a "Heart of the Sunrise". Imperdonabile.
 
Abbiamo sentito ciò che è. Preferiamo nettamente ciò che era.
Oggi seduta terapeutica con ascolto massivo degli album dell'età dell'oro.

Carico i commenti...  con calma