Accadeva anche questo in quei primi anni settanta caratterizzati da una focosa esterofilia musicale dalle nostre parti: una canzone estesa a quasi dieci minuti, la prima di questa portata delle tantissime nella carriera degli Yes, posta in apertura del loro terzo ellepì “The Yes Album”, ebbe una specifica pubblicazione italica su un 45 giri, beninteso recisa nel mezzo, una porzione per lato!.
I cinque Yes fotografati in copertina, magrolini e capelloni e con l’aria ancora innocente da nullatenenti, appaiono in tutta la loro rampante giovinezza. Vi è pure l’ultimo arrivato Steve Howe, il primo da destra, che in questo brano fa sconquassi dall’inizio alla fine come d’altronde in tutto il resto di quell’album, con una partitura di chitarra variegata ed allora massimamente innovativa tra staccati imperiosi, arpeggi strettissimi, scudisciate di pedale wah wah, scale jazz a toni chiusi, lunghe scie di suono distorto e allungato, parentesi acustiche e altro. Come presentazione al grosso pubblico di un musicista, che sin lì aveva vivacchiato nel sottobosco londinese, ve ne sono poche di più efficaci e detonanti in forza del personalissimo approccio jazz e ragtime ad alto volume, ampiamente insolito in un panorama di chitarrismo rock assai più greve e pesante.
Il tastierista storico del gruppo Rick Wakeman all’epoca militava ancora negli Strawbs, e per fortuna…: si dà il caso che Tony Kaye all’organo fosse molto più sanguigno e bravo, specie nel settaggio dei drawbar dell’Hammond e nell’uso dell’altoparlante Leslie. Il suo accantonamento poco dopo l’uscita di quest’album a favore dell’ambizioso biondone fece acquisire agli Yes una dimensione più sinfonica e magniloquente, un colpo d’occhio sul palco più spettacolare, sicuramente un contributo di pianoforte ben più competente anzi a livello di virtuoso, però tolse quel tanto di blues e di salutare semplicità che la doppia tastiera di Kaye, sempre coi giusti registri e il dispositivo di percussione ad enfatizzare e caratterizzare l’attacco dei suoni, assicurava al suono Yes mantenendolo più sobrio e scorrevole.
Per apprezzare il ruolo di Kaye è sufficiente ascoltare l’attacco del pezzo: la chitarra parte con accordi secchi e dinamici e l’organista, intervenendo dopo il primo giro, non fa altro che doppiare gli stessi, però anticipandoli genialmente in levare, sostenendoli maggiormente e soprattutto con un suono della madonna!
La canzone pur durando tantissimo non è una suite, bensì proprio un pezzo espanso e allargato, con le melodie che volentieri si ripetono con diverso arrangiamento, diversa ritmica, differente atmosfera. La particolarissima macchina del ritmo degli Yes, fondamentale contributo alla peculiarità di questa formazione specie nella sua epoca d’oro che proprio questo brano inaugurava, è già a pieno regime: il basso detonante e iper creativo di Chris Squire si accoppia con i secchi, ma al contempo delicati giochi di cassa rullo e charleston del riccioluto Bill Bruford, batterista decisamente jazz prestato e mai piegato alla causa del rock. Su disco, ed è questo il caso, la faccenda funzionava alla grandissima assicurando originalità, imprevedibilità e spirito progressivo a bizzeffe. Dal vivo non vi era altrettanta efficacia… meglio i successivi Yes con Alan White, più potente e compatto, ben più adatto a fronteggiare i dieci venti trentamila dentro un’arena.
Pure l’altra precipua caratteristica eccellente degli Yes è pienamente al suo posto su “Yours Is No Disgrace”: lo speciale lavoro di controcanto del bassista dona più che mai ai cori del gruppo quella mobilità e ricchezza armonica ineguagliabile. Squire prima ancora di imparare a suonare era già un cantante, da ragazzino in un professionale e ben affermato coro londinese. Buona parte del brano è generosamente condotta a due voci e quella di Squire al solito non è quasi mai un’armonia di terze o di quinte… è proprio una nuova melodia che, incrociandosi costantemente con quella principale del cantante Jon Anderson, crea via via intervalli di quarta, di sesta, di settima e di nona che timbrano indelebilmente il marchio Yes nella storia canto corale nel rock.
“Yours Is No Disgrace” è per certo la punta di diamante fra le sei canzoni che compongono “The Yes Album”. Se la gioca in quanto a celebrità e gradimento con “Starship Trooper” (questa una suite a tutti gli effetti, in tre movimenti). Il gruppo l’ha sempre tenuta in altissima considerazione, probabilmente anche per un fattore di riconoscenza essendo cronologicamente il primo exploit di carriera; non per niente sono abituati ad aprire con essa i loro concerti, da molti anni a questa parte ed ancor oggi.
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