Il rock progressivo degli anni 70 fu, almeno nelle sue fasi iniziali, un fenomeno tipicamente inglese. Che però non tardò a espandersi, e a coinvolgere tutta l'Europa e, a stretto giro, anche gli Stati Uniti. Proprio da oltreoceano sono arrivati, talvolta, dei piccoli e misconosciuti gioielli che hanno avuto l'unica colpa di giungere "fuori tempo massimo", col punk e la disco-music ormai alle porte, e magari di essere soltanto troppo defilati dalla scena "mainstream".
 E' il caso degli Yezda Urfa e del loro Sacred Baboon,  registrato nel 1976 e rimasto in qualche polveroso cassetto fino al 1989 quando venne finalmente editato su vinile dalla meritevole etichetta californiana SYN-PHONIC,  responsabile dell'esumazione di altri pezzi da novanta come i Cathedral di "Stained Glass Stories" (1978).  L'edizione su CD risale invece al 1992,  ed è quella in mio possesso. 
 Feticcio mitico e di piccolo-grande culto fra gli appassionati di prog,  S. B.  si merita la sua fama per più di un motivo. 
 Innanzitutto è praticamente l'unica opera completa del gruppo,  che si scioglierà poco dopo (negli ultimi tempi sembra che si siano riuniti,  e stiano lavorando a un nuovo progetto,  fra parentesi); l'unica altra opera,  "Boris",  stampato originariamente in 300 copie e ridato alla luce in digitale solo da un paio d'anni,  altro non era se non una versione provvisoria e grezza del materiale che andrà a comporre il "rifinito" Sacred Baboon
 
 Stilisticamente debitori ai migliori Gentle Giant e Yes,  i cinque Yezda Urfa costruiscono con questo album un collage impazzito di citazionismi,  di galoppate furibonde,  di destrutturazioni del tessuto compositivo.  Una kermesse sonora che è allo stesso tempo omaggio ossequioso e parodia estremizzata della cifra stilistica degli ispiratori inglesi. 
 Difficile descrivere a parole i brani del disco:  sette pezzi che lasciano poca tregua all'ascoltatore,  durante i quali i (pochi) momenti rilassati e melodici - molto belli,  fra l'altro,  vengono sovente spazzati via da accelerazioni,  frenesie,  contrapposizioni feroci fra leziosismi molto vicini a Bach e stacchetti di caos infernale,  musichette da luna park,  progressioni al fulmicotone. C'è molto barocco dentro,  ma,  come si diceva,  c'è molta destrutturazione,  molto gioco. 
 Se certo prog è stato definito "barocco",  con gli Yezda Urfa siamo in una sorta di prog dada-barocco:  una musica ricca di spunti e di sorprese,  ma che al primo ascolto può dare le vertigini,  tanto sembra non voler dare fiato o punti d'appoggio all'audience. 
Disco pieno di cose da scoprire, consigliabile a coloro che comunque si siano già avvicinati all'abc del prog, e che abbiano almeno digerito i fondamentali. Decisamente sconsigliato ai fruitori dell'easy listening.
 Cerebrale.  
 Registrazione non perfettissima,  buona considerato il budget non "di serie A".
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