Uno dei lavori maggiormente esplicativi nella carriera dello svedese "Odissey" esce nel lontano 1987 al seguito dell'epico ed oscuro "Trilogy", portando Malmsteen e la sua delirante sei corde a scalare le charts asiatiche con il gioiello ottantiano "Heaven Tonight".
Coadiuvato da musicisti professionali e talentuosi Yngwie si produce in uno degli episodi maggiormente riusciti della sua lunga carriera regalandoci dodici pezzi carichi di forza emotiva, tecnicismi a profusione ed un paio di ballads da vera antologia dell'hard-rock.
Jens e Anders Johansson, giá presenti nei tre precedenti lavori, deliziano il palato degli amanti dello strumentismo strutturato fornendo prestazioni superbe alle tastiere (il primo) ed alla batteria (il secondo). Sorprende il cambiamento dietro al microfono dove l'ugola acuta di Mark Boals viene sostituita da quella corposa ed emozionale di un Joe Lynn Turner sempicemente strepitoso. Quest'ultimo, sebbene mai troppo stimato dal guitar-hero, fornisce una prova perfetta, abile nel catalizzare un'energia dirompente nei pezzi piú spediti ed allo stesso tempo capace di proporci soffuse note malinconiche nelle partiture ragionate.
Il capitolo legato al solismo funambolico dell'axeman di Stoccolma merita una citazione a parte per qualitá e maestria. Tutti i solos, e lo sottolineo, si incastonano pregevolmente all'interno di ciascuno dei pezzi proposti, effluvi di note dalla velocitá siderale ma dal flavour melodico-classicheggiante di gran finezza, riconoscibile marchio di fabbrica del chitarrista nordico e, per questo motivo, ammirato e barbaramente clonato da tanti altri negli anni a venire.
L'opener "Rising Force" sguinzaglia un riff d'apertura tagliente ed efficace seguito da vocals dai toni medio-alti davvero energiche per poi generare una guerriglia sonica tra la chitarra di Yngwie e i tasti d'avorio di Jens, turbinio pentatonico creante la magia neoclassica per eccellenza. "Hold On" brilla di armonie aggraziate, avvolge in un mid-tempo sinuoso, leggiadro ma prorompente nelle trsisti note di chitarra che, come spoavi pennellate, dipingono il doloroso lamento presente nello spirito lirico. Una prova vocale dalla teatralitá lacrimosa si accoppia ad un solo in bilico tra sentimentalismo e tecnicismi graffianti a chiudere uno dei capitoli meglio riusciti del platter.
La giá citata "Heaven Tonight" camuffa il dinamismo contorto delllo svedese in una brillante hit-song, perfetta per le charts dei tempi e parzialmente rimandante a quanto proposto dagli Europe negli eighties, mentre il capolavoro definitivo arriva con le tremule note acustiche della ballata "Dreaming". Piangono i riffs di Malmsteen, svuotando una malinconia vorticosa nelle vocals vibranti di Turner, introducendoci in una sezione di assoli apocalittici ed impeccabili, vero saggio di talento debordante.
Storditi dal crepitio delle scale ubriacanti nella strumentale "Bite The Bullet" ci addentriamo nei riffs abrasivi della coriacea "Riot In The Dungeons". Qui sono le tastiere a creare un sottofondo tenebroso ove Joe esplode in una strofa rampante ed aggressiva, coadiuvata dal riffing di Yngwie che funge da motore per un ritornello guerresco vicino ai Rainbow periodo Ronnie Dio. Inutile sottolineare che l'aspetto solistico arde di passioni classicheggianti anche in questa traccia, inscindibile connubio di note sparate a velocitá folli tra keys "ubriache" di sinfonie inarrestabili e guitar scales che lasciano attoniti di fronte a tale sfoggio di tecnica abbinata ad un feeling davvero intenso. Il rifferama obliquo di "Deja Vu" lascia spazio a nuovi voli pindarici di una sei corde oramai assoluta protagonista che anche nell'anthem classic-power di "Faster Than The Speed Of Light" elargisce virtuosismi a piú non posso, sorretta da un cantato sicuro, potente ma sapientemente armonioso.
Le gemelle "Crystal Ball" e "Now Is The Time" portano ventate di hard-rock ottantiano, leggere ed agili nelle melodie al limite del radiofonico. Notevole il lavoro tastieristico nella seconda mentre gli assoli neoclassici del nostro brillano vividi nella prima, dotata di un chorus volto ad esplodere in un refrain forgiato per imprimersi nella mente alla velocitá della luce. Ma é nel finale che Yngwie cala gli assi, esprimendo a potenza plurima quelli che sono i cardini della proposta-causa da lui perorata e che, in futuro, continuerá imperturbabile, dimentica delle critiche piú feroci. Infatti "Krakatau" incorpora in sei minuti di follia sonora tutte le peculiaritá del Malmsteen-pensiero a livello musicale: riffs sobri ed intricati, solismi progressivi, tenebrosi a tratti ma sempre assai melodici, tastiere dalle velleitá atmosferico-sinfoniche pronte a scaturire scale improponibili per talento e rapiditá d'esecuzione ed un feeling di solennitá barocca abbinata a trame di ruvido heavy-metal da lasciare sbigottiti.
La tempesta sonica sopracitata allenta la morsa e si immerge nelle dolcissime note della tristezza acustica di "Memories", ammaliandoci di grazia vellutata e calando il sipario su quello che rappresenta, a mio giudizio, l'apice compositivo del guitar-hero in 24 anni di onorata carriera.
Restano poche parole da pronunciare se non l'incredibile urgenza di premere il tasto "Play" per l'ennesima volta da 16 anni a questa parte..
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