Siamo nel lontano 1984 ed una nuova stella brilla già nel firmamento delle 6 corde, un giovane musicista scandinavo che, nel bene o nel male, cambierà in maniera incisiva e profonda il modo di intendere la chitarra elettrica: Yngwie Johann Malmsteen.
All’epoca non mancavano di certo i cosiddetti “guitar hero”, basti ricordare maestri come Ritchie Blackmore, Uli Jon Roth, Eddie Van Halen o Michael Shenker e la lista potrebbe continuare, eppure lo Svedese riuscì ben presto a farsi notare: un ego smisurato, unito ad un talento straordinario ed una velocità a dir poco fulminea, rappresentano indubbiamente la prima chiave di lettura, ma “Rising Force” dimostra di andare ben oltre; in realtà, contrariamente al pensiero di molti acerrimi contestatori, i contenuti musicali di quest’album hanno il sopravvento su ogni altro aspetto, tecnica compresa, che, pur essendo ai vertici assoluti in ambito neoclassico, è sempre subordinata alla ricerca di composizioni sofisticate, dotte, mai prolisse o barocche e la stessa famigerata velocità, tanto odiata da chi ha sempre cercato di screditare Malmsteen, viene qui sapientemente calibrata ed alternata a fraseggi dove la melodia ed il desiderio di emozionare, trovano ampia e nobile rappresentanza.
Emergono così brani di grande spessore ed intensità come “Black Star”, “Evil Eye”, “Icarus Dream Suite”, “Little Savage” che, se si vuole essere un minimo obiettivi, non possono venire banalmente catalogati nell’alveo, assai approssimativo e superficiale, di mera esposizione virtuosistica e velocistica, perché quest’ultima rappresenta soltanto la parte di un tutto, solo un anello di un ingranaggio ben più ampio e complesso, dove amore per la musica classica, pathos ed alchimie di rara bellezza si fondono mirabilmente con una tecnica sopraffina, dando origine ad un unicum inscindibile ed imprescindibile.
Se a tutto ciò si aggiunge anche il fattore suono, che in Rising Force raggiunge livelli di elevatissima qualità, soprattutto in termini di pulizia e di incisività, credo fermamente che questo lavoro rappresenti una pietra miliare nel genere ed anche un massimo assoluto per lo stesso Yngwie, che non ha saputo più trovare, nel corso degli anni successivi, una vena creativa così elevata, adagiandosi via via sempre più sugli allori di un passato glorioso e forse troppo grande.
Carico i commenti... con calma