Non c'è nulla da fare. Bisogna soltanto attendere. Moriremo sfracellati sulla roccia sottostante. Quelle pietre che da quassù ci appaiono ancor più nere e mortali.
Siamo sprofondati in un sogno, o forse un incubo. Tutto è sfocato e manca la percezione delle cose intorno. C'è soltanto un prepotente rumore di fondo, uno stridio metallico insopportabile che sta lentamente distruggendo il cervello. Intanto, mentre si continua a pensare a qualche appiglio, mentre gli occhi ormai neri si muovono furtivamente in cerca di qualche ancora di salvezza, il corpo continua inesorabile la sua lenta, agonizzante discesa.
Sotto le rocce continuano ad avvicinarsi, monumentali. Poi, da lontano prorompre un fragore inatteso, dall'incedere malefico. La sensazione che sprigiona "Burning the altar" è quella di una lunghissima nenia funerale, che ci conduce passo dopo passo verso l'inferno sotto di noi. Ci attende il buio, gli spigoli taglienti della pietra. Mentre continua a consumarsi questo sprofondamento verso le viscere della terra, l'asfissia di "The lie that is sin" sembra far animare i macigni, che prendono le sembianze di golem enormi, pronti per distruggere le nostre fragili ossa. Rimane però difficile distinguere la realtà della visione, forse è soltanto la mente annebbiata che ci fa intravedere l'incarnazione di quelle creature. In realtà stiamo continuando a cadere, sempre più in basso...
La consapevolezza dell'arrivo, del fatidico schianto è ancora troppo tremenda per tentare di dare uno sguardo al di sotto. Non può esserci salvezza. Il destino è ormai scritto: il sangue sul nero basalto, il raccoglitore della nostra fine. Siamo ormai coscienti dell'arrivo imminente della conclusione, ma ciò non basta a placare le ferite che "Silence of heaven" apre in noi. L'arroventato groviglio di acciaio, sabbia, pietra e morte che ne costituisce la sostanza, squarcia le nostre più semplici certezze. Intanto la paura dello schianto si fa sempre più acuta. Il dolore aumenta in continuazione, ulteriormente alimentato dalla scarica di schegge di "Breathing from the shallows".
Poi, improvvisamente siamo salvi. Nella furia della fine, nel timore di dover abbandonare tutto, ci siamo dimenticati di accorgerci che nel bel mezzo della mortale culla formata da lastre e lapidi di roccia, c'è una pozza d'acqua. E' lei la salvezza. Il pericolo è scampato, il peggio è ormai alle spalle. La luce dei primi sprazzi di "The great cessation" conferma che non raccoglieremo le membra su quella roccia, che ai nostri occhi si era lentamente tramutata in una furente schiera di steli funerarie. Eppure c'è come la sensazione che qualcosa non vada: la mente continua ad essere indolenzita. Viene meno la capacità di percezione. L'oscurità entra di nuovo propotentemente nel campo visivo. Tutto si annacqua e diventa indecifrabile. Le ultime forze rimaste servono per constatare che non c'è nessun lago, nessuna traccia di acqua.
Le ossa, le braccia, le gambe si spezzano contro la sottostante pietra. Gelida, sussurrante, cimiteriale. Siamo già morti...
1. "Burning The Altar" (12:37)
2. "The Lie That Is Sin" (11:19)
3. "Silence Of Heaven" (9:48)
4. "Breathing From The Shallows" (7:35)
5. "The Great Cessation" (20:34)
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