Io lo so che dovrei iniziare dal principio, ma non posso che fare il contrario. Dopo un primo tempo al limite della perfezione, nel quale il regista era riuscito a caratterizzare al meglio i suoi pochi personaggi e a creare un’atmosfera parecchio ironica e surreale, con un ritmo sincopato fatto di rallentamenti e brusche accelerazioni improvvise, ero certo che il livello sarebbe calato. Ma questo non è accaduto. Nemmeno nella seconda parte ci sono stati punti di stanca.
Il dramma è salito con delle punte di violenza, pezzi di sale su un piatto ben cucinato, e l’opera è arrivata di slancio all’epilogo con la giusta dose di sarcasmo, critica sociale e cinismo.
Quello che, appena uscito, mi ha fatto oggettivamente incazzare è che mi è sembrato di assistere a una sorta di suicidio visivo. Come se il corridore fosse arrivato in fondo al rettilineo con un congruo vantaggio sugli inseguitori e, invece di rallentare e prendersi gli applausi, decidesse di prendere un revolver e spararsi un colpo in faccia. Cazzo, bastava sfumare l’immagine della protagonista con la testa appoggiata al vetro della macchina e mettere i titoli di coda, e si sarebbe concretizzata un’opera forse persino superiore a "The Lobster".
Scrivo a distanza di tre giorni e devo ammettere che ho cambiato idea.
"Bugonia" è l’ultima opera di Lanthimos: una pellicola che conferma le qualità sopra l’ordinario del regista. Il suo taglio è inconfondibile — mi riferisco alle immagini, all’utilizzo dei primi piani, alla colonna sonora, alle inquadrature “da fuori”, come quella che immortala il rapimento della protagonista. Gli attori impegnati in questa sorta di pièce teatrale sono sostanzialmente tre, e lo so che tutti esalteranno Emma Stone e Jessie Plemons. Che ormai è come dire che l’Everest e il K2 sono davvero alti. Io, però, voglio andare controcorrente e tessere le lodi del terzo attore, fino a quel momento a me sconosciuto. Perché impersonare la paura di non sentirsi adeguati e capaci è una qualità rara. Quell’inquietudine rappresentata dal fatto di essere perenne preda di demagoghi da quattro soldi non è affatto semplice da rendere. Nel linguaggio non verbale, nelle movenze e nella mimica facciale, costui è sensazionale: riusciamo proprio a vedere il suo pensiero lento e goffo che lo attanaglia mentre si lascia guidare come un placido animale al macello. Sono passi lenti e incerti, perché c’è un barlume di buon senso che lo fa rallentare, ma non ha la forza per andare oltre. Aidan Delbis è incredibilmente convincente e merita un plauso convinto.
E così il mini demagogo e il suo cugino rapiscono una manager di successo nel pieno della sua carriera. Sono convinti che sia una terrificante Andromediana e vogliono che li porti al cospetto del loro imperatore, per convincerlo ad abbandonare definitivamente il pianeta Terra e far tornare tutto com’era ai vecchi tempi, all’età dell’oro, quando la vita non solo era più facile, ma era possibile.
Per non essere soggiogati dall’Andromediana e dalle sue potenti capacità di persuasione, la legano, le tagliano i capelli, tramite i quali, ovviamente, avrebbe comunicato con la nave madre, la cospargono di una crema che lenisce i suoi poteri, la interrogano e poi la torturano. Ma non sono mica stupidi: prima del rapimento hanno deciso di castrarsi chimicamente, per non essere ammaliati e fregati dall’avvenenza dell’Andromediana, che pur avendo 45 anni ne dimostra molti di meno.
Si sono preparati duramente per mesi: hanno giurato vendetta dopo che gli Andromediani hanno fatto ammalare la madre e la zia e hanno ammazzato una marea di api. Ma i cugini sanno come fare. Si sono documentati, ovviamente non sui falsi libri accademici e nemmeno dando ascolto alle frottole degli “esperti” che li tacciano di essere fanatici e complottisti da quattro soldi, ma sui video giusti, quelli che la massa ebete e credulona disconosce con sdegno. Perché loro lo sanno come va il mondo, per davvero.
Come vi dicevo, sono passati tre giorni dalla visione e ho capito che ha ragione il regista e mi sbagliavo io. Mi aspettavo una cosa diversa e quel finale surreale e iperbolico non l’ho voluto capire, perché avevo dato all’opera un taglio più facile ed una certa assonanza con Don’t Look Up. Il semplice fatto che il regista sia riuscito a raggirarmi può avermi dato fastidio: è possibile anche questa lettura, infatti ne ho discusso con il mio amico che mi ha accompagnato al cinema, quasi completamente vuoto.
Lanthimos utilizza un’iperbole clamorosa e divertente per intagliare una forte critica incentrata sul fatto che sia inaccettabile una concentrazione di potere come quella che viviamo oggi. C’è qualcosa di inumano, di Andromediano, in tutto questo.
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