Resto fermo sulla mia convinzione che la specie umana non si stia avviando verso l'estinzione e che nessuna catastrofe più o meno imminente cancellerà l'uomo dalla faccia della Terra oppure più semplicemente dalla storia (anche) futura dell'universo. Dirò di più: sono convinto che l'uomo per sua natura e costituzione, fatto a somiglianza di dio secondo la religione cattolica (non solo), sia infinito. La sua evoluzione nel corso dei secoli dei secoli non ha pari per quello che abbiamo potuto osservare e conoscere grazie allo studio nei diversi campi delle scienze, così abbiamo dimostrato di potere fronteggiare e superare ostacoli di ogni tipo e di sapere come valicare confini che di volta in volta ampliano sempre di più i nostri orizzonti.

Tutto questo non costituisce chiaramente una negazione dei problemi che affliggono l'umanità e che hanno reso l'esistenza dell'uomo una storia "drammatica", persino tragica in determinati frangenti, né questo ottimismo, se così si vuol dire (sebbene io preferisca considerarlo come una specie di espressione di carattere scientifico oppure almeno basata su considerazioni più o meno oggettivo e nei limiti delle mie conoscenze, che non sono sicuramente poi così vaste come vorrei), ha connotati di carattere negazionista. L'uomo si è macchiato nel corso della storia di atti di una violenza inaudita e ha ucciso, schiavizzato, violentato in ogni modo possibile i suoi simili, così come non si è mai curato in maniera più o meno cosciente dell'ecosistema in cui esso vive: il rapporto tra uomo e natura peraltro ha un carattere ambivalente. Questo viene generalmente visto come una specie di "contrasto", come se secondo molti alla fine la natura dovesse prevalere sull'uomo e capovolgere il rapporto di forza che vede l'essere umano spingere per superare ogni ostacolo e che molto spesso ha connotati che si definiscono come "naturali", ad esempio la forza di gravità. Ma questo contrasto invero esiste solo su di un piano puramente teorico: di fatto l'uomo non è scisso dalla natura, perché pure esso fa parte del "tutto" che lo circonda e il suo ruolo determinante è dettato dalla sua maggiore consapevolezza rispetto alle altre specie viventi del mondo animale, vegetale ecc. ecc.

L'uomo quindi usa la natura: lo fa in una maniera funzionale, anche quando parliamo di "artificio", che poi possiamo tradurre come strumento. L'uomo usa in maniera strumentale la natura per le sue esigenze e come tutti gli "strumenti", questi possono essere usati in una maniera più o meno funzionale e più o meno consapevole e attenta al benessere generale. Qualche volta possono essere usati in una maniera deviata. Il ramo di un albero può essere usato per accendere un fuoco per scaldarsi come può essere usato come legna per la fabbricazione di utensili oppure opere artigianali o di fabbrica, infine può essere usato come un'arma. Resta sempre il ramo di un albero e il suo uso è in ogni caso funzionale, ma con diverse conseguenze a seconda del suo utilizzo.

Possiamo forse biasimare l'uomo per avere commesso determinati danni irreparabili nel corso della storia? Sicuramente è un atto doveroso conoscere e ricostruire i fatti storici, perché questi ci insegnano molte cose su noi stessi e formano la nostra cultura, come la nostra etica e la nostra morale. L'uomo ha commesso atti atroci, dicevamo, lo schiavismo, l'olocausto sono dati di fatto che dobbiamo considerare e che ci danno una dimensione delle nostre malefatte. Allo stesso modo dobbiamo prenderne atto e considerarli 1. come fatti storici acquisiti e inconfutabili, 2. come una "lezione" per il futuro e qualche cosa da cui apprendere e evitare.

In questi giorni in Polonia si tiene il "Cop24" a Katowice in Polonia: il diktat secondo molti è uno solo. Cioè non c'è più tempo: il cambiamento climatico è irreversibile, siamo in ritardo per potere tornare indietro a un livello di "sicurezza". Ma questo non significa l'apocalisse. Significa che vanno trovate delle contromisure, dei sistemi per impedire che questo grande cambiamento provochi ancora più squilibri sociali di quanti il mondo abbia dovuto sostenere fino ad ora e si possa costruire un futuro legato a una "speranza" in cui credere per le nuove generazioni.

I segnali in questo senso sono negativi: l'atteggiamento negativo di USA e Russia in particolare su una questione così rilevante, il disinteresse su questioni come quelle dei migranti, così come le pressioni in campo finanziario, le barriere doganali, il sovranismo... Tutti questi sono temi che creano stati di tensione e di contrasto a livello internazionale e entro i confini nazionali dei singoli paesi, che hanno un carattere violento e costituiscono una forma moderna e aggiornata di quella che fu la guerra mondiale oppure la guerra fredda dal secondo dopoguerra in poi.

Come orientarsi tra le mille incognite del ventunesimo secolo, ci siamo già dentro adesso che il 2018 si avvia al termine, prova a spiegarlo con questo libro il professore Yuval Noah Harari, storico e saggista classe 1976, già universalmente apprezzato per la pubblicazione di "Sapiens..." (2014) e "Homo Deus" (2016). "21 Lessons for the 21st Century" è una specie di guida, per la verità più un testo di carattere argomentativo che un "manuale", in cui Harari affronta 21 tematiche che si possono considerare fondamentali tra le sfide che l'umanità dovrà affrontare nel corso di queto secolo.

I temi sono quelli tipici delle cronache e delle discussioni geo-politiche dell'ultimo anno: il crollo della democrazia liberale, la figura di Donald Trump, il mondo digitale e le "fake news", i contrasti tra Cina e mondo occidentale, il ruolo dell'Islam nella società globale contemporanea, il richiamato tema del cambiamento climatico e il tema dei migranti. Ognuno di questi viene affrontato in maniera bilanciata e opportunamente documentata e senza esprimere giudizi netti oppure parziali: Harari cita altri suoi articoli oppure lavori passati, che sono andati a costituire pezzi dell'opera letteraria in questione, così come non manca di citare ognuna delle fonti cui ha fatto riferimento, così come si ritiene debba fare uno storico, che ha saputo diventare una figura di riferimento (nonostante la giovane età) nel campo della saggistica e che con questo libro conclude una specie di trilogia ideale.

A parte tutte le considerazioni sulla sua bravura nell'argomentare i diversi temi e il suo giusto proposito di essere obiettivo, non si può non considerare come traspare tra le righe un certo pessimismo di fondo: i fatti, quella che è la cronaca, sembrerebbero giustificare questo suo pensiero. Molte volte l'uomo si interroga sulla fine del mondo, perché questa appare rassicurante, in fondo sarebbe così facile se tutto finisse (vedi "Short Cuts" di Bob Altman, tratto da opere di Raymond Carver). Sarebbe liberatorio. Persino la definitiva consacrazione di una fede religiosa in un deus ex machina che non è progressista come potrebbe essere Gesù, ma vendicatore come il dio del vecchio testamento. Invece la verità è che come in Polonia in questi giorni, le cose potrebbero andare male e l'uomo superare qualsiasi stato di crisi e continuare la sua esistenza, ma richiamati "atti dolorosi" e drammatici continueranno a ripetersi e costituire una costante della storia.

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