Può un disco avere un odore? Oltre a quello della plastica e del cellophane, quell'odore di nuovo tipico di quando lo si scarta... Un odore più “mentale” se vogliamo, legato a delle immagini che subito ti trasmette ascoltando i pezzi che esso contiene.

Non tutti i dischi “profumano” in questo modo particolare, ma questo sì, questo ha un odore particolare, riconoscibile, e adattissimo alla stagione autunnale nella quale siamo appena entrati.

Black Cross/Death Rune” sa di fumo, quell'odore acre che si diffonde tra i boschi e i campi le mattine nebbiose di novembre, quando nelle case si accendono i primi caminetti e i contadini bruciano le sterpaglie e i rami secchi, accumulati in piccoli mucchi qui e là.

Quando parte “Watchers” si fanno vive alcune di quelle che saranno le note di fondo predominanti del profumo che permea questo disco, quelle della pioggia che cade su strade sterrate, e che fa sollevare polvere e sassi all'impatto con il terreno.

Con “The Dagger” già si tocca forse la punta più alta di questa essenza. Se si chiudono gli occhi in un attimo ci si apre un dipinto fatto di colori caldi, dal rosso all'ocra all'arancione, con paesaggi caratterizzati da alberi dalla chioma infuocata, aceri e pioppi le cui foglie si accendono quando toccate dalla luce di un sole che si fa progressivamente meno caldo. L'aria tutta intorno è tranquilla, in lontananza solo piccoli paesi dalle case tinte di bianco e ponti coperti su placidi fiumi, e un profumo di natura, di foglie secche, di erba umida e di terra.

Con “Banners in Bohemia” per pochi istanti riaffiorano nella mente le immagini e gli odori dell'uva che il nonno metteva ad appassire in garage, preparandola per il vinsanto, mentre quando attacca “Good Morning, Blackbird” si fa avanti il lato più aspro dell'autunno, l'anticamera dell'inverno che verrà. In questo pezzo è la pioggia a farla da padrone, ma non quella delicata che appena sembra bagnarti, ma quegli acquazzoni interrotti dalle bordate dei tuoni, che non ti spaventano solo perché sei in casa, al riparo, vicino ad una tazza di caffè fumante.

Horse Dysphoria” continua la tematica aperta con il brano precedentemente descritto, amplificandone se possibile l'irruenza, mentre “Stave Fire” è una festa per gli occhi e per i profumi, è il fuoco che scoppietta nel camino e che ti riscalda fin dentro le ossa, con quel profumo a metà tra il pungente ed il piacevole.

Una volta spento il fuoco quello che rimane è il denso fumo di “Bohemian Spires”, che sale nel cielo per poi disperdersi nel nulla, e che sembra congiungersi con la nebbia che pian piano si arrampica sui versanti delle colline e avvolge le valli, permenando il tutto di un piacevole odore di umido e muffa.

C'è poi una doppietta di pezzi costituita da “An Atrophy Trophy” e “Shoreless” che pare volerti trasportare verso la costa, su scogliere ripide e scure che si affacciano su un mare irrequieto. In questa atmosfera sono gli odori della salsedine e della roccia bagnata a dettare legge, e quando si alza il vento portando con sé nuvoloni e gocce di pioggia sai che l'autunno sta cedendo il posto all'inverno. Di colpo ti guardi intorno e il rosso degli aceri è sparito, e quello che rimane sono solo scheletri che si stagliano su un cielo scuro, e il sole è ormai sparito. Un brivido di nostalgia ti percorre la schiena, ti abbottoni il cappotto e decidi che forse è meglio rincasare.

Il New England è un posto magico, pervaso di storia, natura e misticismo. Per le sue stradine di campagna, tra i fitti alberi, nei pallidi villagi e tra le acque dei laghetti tranquilli sono successe cose che hai letto solo nei libri di storia e nelle favole, storie di superstizione che vengono immediatamente alla mente ascoltando “The Golden Alchemy”. Queste immagini si portano dietro odori vaghi, impalpabili, di nuovo porfondamente legati al fuoco, alla cenere, agli elementi. E' l'odore dei libri vecchi e polverosi, di incenso, di corde lasciate al freddo e all'umido. C'è qualcosa di magico in queste essenze, qualcosa che ti cattura, che ti strega... Già, le streghe, i roghi, le persecuzioni, le storie di vampiri e di magia, tutto pare tornarti alla memoria inebetendoti ocn bordate sonore di maestosa bellezza.

Wildwood” si chiude così, lasciando il passo alla calma e alla dolce malinconia di “The Nightside”, un disco permeato da odori familiari, “casalinghi” se vogliamo, confortevoli come può essere lo starsene seduti tranquilli a guardare fuori dalla finestra le foglie che danzano spinte dal vento... Così aride e secche e fragili, sembrano pronte a cedere il passo all'inverno, eppure le vedi volteggiare piene di vita, e ti fanno stare bene, come tutte quelle piccole cose che vai cercando quando hai bisogno di un po' di tranquillità per rimetterti in sesto.

I 1476 sono un duo misterioso del New England, due ragazzi la cui poetica musicale pare sorreggersi su “Misanthrophy, Animals, Obsidian Mirrors”, almeno stando a quanto emerge dal loro Bandcamp. Difficile individuare un genere di riferimento per i due di Salem: si spazia dal folk apocalittico al post punk, dal gothic ottantiano al post rock, con un generale gusto per la malinconia e la melodia che collega tra loro i vari brani. Questo “Wildwood/The Nightside EP” è una riedizione curata dalla Prophecy Prod., che è riuscita a mettere sotto contratto il gruppo e che, in attesa del nuovo lavoro, ha deciso di riproporre tutto il loro catalogo. Trovo questo lavoro incredibilemte evocativo, tipicamente autunnale e profondamente radicato nei luoghi di origine dei 1476: la loro grande forza sta proprio nel riuscire a ricreare immagini, profumi, rievocando anche ricordi e storie di vario tipo.

Si tratta di un lavoro non adatto a tutti, ma per chi è attratto dai generi sopra menzionati e ha una predilezione per la stagione nella quale siamo appena entrati forse dovrebbe dare un ascolto a questo disco, dando una chance a un gruppo che, se non si monta la testa, farà parlare sicuramente di sé.

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