Per sfruttare ancora il successo planetario di questo festival musicale da subito assurto ad evento culturale e sociologico grazie al successo dell’omonimo film, la casa discografica fece seguire, ad un anno di distanza dalla pubblicazione del celeberrimo album triplo contenente la colonna sonora dell’evento, una nuova raccolta stavolta doppia e contenente di altri ottanta minuti scarsi di musica estratta da quei tre giorni e mezzo di pieno agosto, divenuti da subito e per sempre l’epitome dell’evento musicale all’aperto e parallelamente l’emblema di un certo modo di stare insieme in libertà e tolleranza.
Questa carta fu però giocata abbastanza male: fra i vari artisti proposti, solamente due di essi erano assenti nel primo album (e quindi nel film); il resto del materiale qui presente va ad immortalare del repertorio aggiuntivo proposto in quelle serate da gente già presa in considerazione nell’originale triplo, vale a dire Jimi Hendrix, Jefferson Airplane, Crosby Stills & Nash, Paul Butterfield, Joan Baez e Canned Heat.
Per fortuna una delle due new entry è assolutamente eccellente: la prestazione dei Mountain si innalza fra tutte le altre per potenza e liricità. Vengono eseguiti un paio di brani assai diversi l’uno dall’altro: il primo di essi “Blood of the Sun” nella versione in studio aveva aperto il primo album della formazione ed è un rock blues roccioso incentrato su un lungo ed efficace riff, vera risposta americana al british blues pesante di Led Zeppelin, Free e compagnia bella. Il chitarrista Leslie West vi stacca due break in assolo perfetti, puntuti e cattivi ma melodicissimi, quasi delle canzoni dentro la canzone.
L’altro contributo è la cover di un brano di Jack Bruce che compariva nel suo primo album solista “Songs for a Taylor” del ‘69. Il bassista dei Mountain Felix Pappalardi del resto era stato il produttore dei Cream pertanto conosceva le cose di Bruce come le sue tasche. La versione dei Mountain di “Theme for an Imaginary Western” è grandiosa, molto migliore dell’originale ed anche più efficace della registrazione in studio che compare sul secondo album “Climbing!”. La voce di Pappalardi è appassionata e armonica, lo splendido giro di accordi viene reso ancor più mirabile dal ruggito dell’Hammond di Steve Knight, l’assolo di West è devastante e liberatorio.
L’altra “novità” è meno interessante: una folksinger a nome Melanie, che in quegli anni si fece un certo nome e che ancora si esibisce e pubblica lavori, ma è completamente sparita dai radar italici ed anche europei da decenni. Tutta sola con la sua chitarra, la cantautrice si esibì per mezz’ora nella prima giornata del festival, quella dedicata alla musica acustica e folk (Richie Havens, Arlo Guthrie, Joan Baez e altri prima e dopo di lei). Restano immortalate su quest’album “My Beautiful People” e “Birthday of the Sun”, sinceramente non imperdibili.
Il resto, come detto, non è altro che un’espansione delle esibizioni già prese in considerazione nell’album precedente dedicato all’evento: al solito torreggia Jimi Hendrix con tre contributi, due invece sono le canzoni dei Jefferson Airplane, devo dire particolarmente “fatti” e imprecisi all’ascolto, noioso poi l’interminabile boogie improvvisato dai Canned Heat e intitolato proprio a Woodstock… e per finire viene lasciato un minuto pure alla performance dell’oceanico pubblico presente, che sotto il nubifragio scatenatosi nel pomeriggio del terzo giorno, subito dopo l’esibizione di Joe Cocker, intona una corale e beneaugurante “Let The Sunshine In” (tratta dal musical “Hair”, allora sulla cresta dell’onda).
Peccato che in quest’album non siano finiti (probabilmente per ragioni commerciali) contributi di tanti ottimi artisti esibitisi a Woodstock ed esclusi dal film. Parlo di Creedence Clearwater Revival, Janis Joplin, Johnny Winter, Blood Sweat & Tears soprattutto.
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