Un'onda nuova di highlife è auspicabile, sarebbe unanimamente ben accetta, come da qualche tempo il ritorno dei pantaloni a vita alta nei guardaroba femminili.

Le premesse, in forma di movimenti culturali sotterranei, non mancano: la serata afrobeat resta d'ordinanza addirittura quaggiù, in provincia di tutto (TT), e resiste nonostante l'affacciarsi prepotente della cumbia sulla scena (*). Affermazione empirica, ma che immagino riscontrabile. Non sono peraltro mancate esperienze programmatiche se non dichiaratamente teoriche, come le Meditations On Afrocentrism del solito ottimo producer Ninjatune Romare.
Eppure la popolarità dell'highlife non riesce a estendersi, semanticamente, dal roots al pop (**); pop che alla frenesie ritmiche e melodiche dell'afro, preferisce onde lente e bassi lunghi, mentre depreda le voci nere delle loro ricche sfumature per farne arzigogoli tecnologicamente calibrati, quando non per appiattirle e farne tappeti, come prendere fraseggianti trombe be-bop e fonderle insieme per forgiare un trombone che suoni soltanto le toniche e le quinte. Insomma, vorrei si leggesse senza accezioni che roots e pop, per quanto popolari, stanno viaggiando in simmetria parallela sul nero asse.

*Nonostante (e non in virtù de) l'endorsement di un personaggio dal dubbio gusto come Davide Toffolo, scuffiato male per la cumbia e promotore di iniziative sotto la dicitura Istituto Italiano di Cumbia.
**Sticazzi.

Se stessero invece viaggiando in rotta di collisione, se questi neri opposti potessero fondersi in un unico potentissimo nero, allora forse si aprirebbe un corso di produzioni che suonerebbero - per dirlo in coro al mio amico Sbem!, così soprannominato per il suo modo tipico di sottolineare manifesta bellezza ed esprimere eclatanza in generale - sbem!.

L'EP di Aadae sembrerebbe, sulla carta, rispondere a tali requisiti.
Cantautrice londinese, roots nigeria; cantato black contemporaneo, armoniche soul assai radiofoniche; due ritornelli memorabili su cinque canzoni, e all'esordio; decori elettronici e strutture suonate, e viceversa. L'intento, dichiarato, di unire la passione per le interpreti pop soul e la musica delle sue radici.
A tratti, le intenzioni pagano: il pattern ascendente di fiati su Flatline e l'accattivante linea vocale di River Of Tears in un fitto contrappuntato di percussioni, clic e chitarrine stoppate, solleticherebbero qualsiasi palato, sopra quei classici rullanti in marcetta sincopata highlife. Con il timbro ontanoso di un Jazz che quando finalmente arriva a corda liscia, in Die Happy, è una manna.

Che qualcosa, e non da poco, manchi, si percepisce tuttavia. Manca un talento vocale cristallino, per quanto Aadae sia sul pezzo e molto educata. Ma di un talento vocale cristallino si può fare a meno, quando si hanno felici ispirazioni compositive, qui assenti, e si osa in interpretazione, cosa che Aadae non fa.
L'highlife è retto dalla coralità, da un caloroso senso di comunione dei musicisti (un agape), che non riesco a sentire su questo disco; o dalla classe, dall'estro del singolo interprete: non pervengono.

Resta, tirando le fila, un progetto interessante, una buona intenzione che necessita migliori sviluppi. Valido, ma non tanto più in là dell'essere giusto meno peggio del neo soul irregimentato, mentre Sbem! finge che gli piaccia il tè di yerba mate e tutti noi aspettiamo.

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