Copertina di Aardvark Aardvark

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Benvenuti negli anni settanta...

Aardvark (band inglese con all'attivo solamente questo omonimo album) attaccano con le note martellanti di una batteria ossessiva e di un basso che sembra uscire direttamente dal nocciolo di un reattore nucleare, "Copper Sunset" è l'epitaffio perfetto per il decennio d'oro appena terminato e il giusto inizio per quello più cupo e "violento" che era appena cominciato. La voce di Dave Skillin irrompe possente a duettare con le tastiere frenetiche di Steve Milliner che devono sopperire, aiutate dal basso potente di Stan Aldous, alla mancanza di una chitarra... e incredibilmente non se ne sente davvero il bisogno.

Il background della band sono il nascente progressive fuso magistralmente nelle poderose linee d'impronta hard rock per un risultato che in alcuni momenti è davvero strabiliante, la "Copper Sunset" dell'inizio è realmente furia ceca, che diventa spasmo da convulsione in "The Greencap" dove brevi momenti di linearità si mescolano ad un turbine di cambi repentini di tempo e spazio, che volutamente ti portano in territori poco sicuri dove la terra sotto i piedi sembra venire meno da un momento all'altro. La voce di Skillin oscilla fra un'iperbolica distorsione metallica ed un registro di pulizia mostruosa, salvo farsi da parte e lasciare gli strumenti a "combattersi" in una cavalcata che attraversa tutti i territori della musica rock, per poi rientrare e riprendere il discorso interrotto. "Many Things To Do" è un perfetto esercizio di miscela della tradizione british-blues con una struttura progressiva, brano che li accomuna maggiormente, rispetto agli altri presenti, a band coeve come High Tide, Arcadium o Andromeda mentre in "I Can't Stop" il tentativo di rendere progressivo il garage risulta più un esercizio di stile un po' manieristico. L'etereo folk di "Once Upon A Hill" spezza completamente la tensione comune a tutti gli altri episodi del disco, una pennellata medievale con tanto di flauto davvero magica anche per il 1970.

I nove minuti di "The Outing-Yes" triturano gli anni sessanta e li re-impastano in un anfetaminico schizofrenico rock ‘n' roll che diventa un interminabile viaggio in un iperspazio psichedelico nelle più remote lande del grande cervello universale che guida le macchine verso l'autospegnimento... come si può spiegare... più o meno gli Hawkwind che giocano a fare i Pink Floyd di "Interstellar Overdrive" e "Astronomy Domine". Ma il bello arriva con i sette minuti e 35 secondi finali di "Put That In Your Pipe And Smoke It", dove uno svogliato organo "chiesastico" è solo l'introduzione ad un prog-core devastante come un uragano estivo, con le anfetaminiche dita di Milliner che inseguono sui tasti melodie frenetiche ed acide per sfidare le percussioni di Frank Clark in un gioco al massacro con le quattro corde di Aldous che si fanno martello pneumatico e mantenere il ritmo su livelli impossibili.

La chiusura me la riservo per "Very Nice Of You To Call" un mid-tempo raffinato di lontana matrice "jazzistica" che sembra proprio essere la copia di quella "Men With Golden Helmet" che sette anni dopo gli australiani Radio Birdman licenzieranno nel loro capolavoro "Radios Appear"... è stato proprio gentile da parte vostra chiamare.

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