Quando ero piccolo, tutti mi scherzavano perché leggevo Rockstar. E io non stavo bene. Soffrivo le pene per colpa di Rockstar. Ma gli amici che si iniettavano in vena riviste non patinate e senza Duran Duran, Spandau Ballet, Madonna in copertina, non sapevano che il mio mensile preferito (di allora) avrebbe preso una iniziativa senza precedenti: la Grande Enciclopedia di Rockstar. Un fascicolo al mese per un anno da rilegare in volumi cartonati, poi, se non ricordo male, l’esperienza sarebbe continuata solo per gli abbonati. Il progetto naufragò quasi subito, non andarono oltre la lettera F. Peccato. Ma intanto c’erano quei bei fascicoli usciti in edicola sui quali meditare. Per quel che mi riguarda, fu il secondo nome finito al loro interno (il primo, The A’s, venne liquidato in fretta: “rock insipido e commerciale”. E io di Rockstar mi fidavo) a farmi partire di testa: Aardvark. Traduzione: oritteropo. Un animale esotico. Non è il caso di aprire un’altra parentesi. Il primo e unico album della band britannica, “Aardvark”, fu licenziato nel 1970 dalla Deram, etichetta “specializzata in musica controcorrente”. Stavo crescendo a pane e musica controcorrente: dovevo averlo.

Iniziai la caccia passando a tappeto tutti i negozi di dischi possibili e immaginabili, ma niente, non c’era verso. La risposta più bizzarra me la diede un negoziante dell’entroterra fermano: “Gli Asfalt? No, non ce l’abbiamo, però ho questi due stereorotto di Tony Santagata al prezzo di uno”. Avesse aggiunto un pezzo di frustingu (per i due o tre che brancolano nel buio, trattasi di un dolce natalizio delle Marche del sud, altrimenti dette Marche sporche) ci avrei pensato, invece rinunciai. Mi vedevo giacere nella tomba senza aver avuto la possibilità di ascoltare quella che doveva essere la più grande band di musica controcorrente di sempre. Non fiori, ma dischi degli Aardvark. E stereotto di Tony Santagata a manetta.

Poi, un giorno, qualcuno, non so chi, inventò Internet. Mentre qualcun altro si ingegnò a tal punto da tirare fuori dal cilindro Napster e parentela varia. Scelsi Emule. Indovinate quale fu la prima cosa che scaricai? “Cicciolina e Moana ai Mondiali”, ovvio, ma subito dopo ordinai al mulo di cercare “Aardvark”. Arrivò puntuale, lo guardai avidamente… pardon… lo ascoltai avidamente fino allo sfinimento (ehm…). Sì, un gran disco. Tony Santagata, scansete.

Non so per quale motivo gli Aardvark si ritirarono subito dalle scene. A dire il vero, non so nemmeno se il loro album riscosse un minimo di successo commerciale. Probabilmente no. Forse perché la concorrenza, a quei tempi, era spietata. Forse perché arrivarono in ritardo, ma anche uno zinzinello in anticipo. Frank Clark, David Skillin (autore di quasi tutti i brani presenti nell’album), Steve Milliner e Stan Aldous decisero di immergere il loro suono in un magma composto di psych e prog. Più il primo, a dirla tutta. E forse, la psichedelia, nella perfida Albione, aveva dato tutto o quasi. Però qui, tra questi solchi, emerge parecchia sostanza: a partire dal suono acido delle tastiere, vero e proprio collante degli otto pezzi presenti nel 33 giri, dalle cavalcate lisergiche, in particolare espresse all’interno di “I Can’t Stop” e “The Outing – Yes”. C’è l’elettricità, un po’ à la Black Sabbath, c’è un cantato oscuro e ruvido, oltre a una ritmica potente, e a qualche accenno blues e folk. Se ascoltate con attenzione, è possibile trovare assonanze con un noto pezzo dei New Trolls (uscito anch’esso nel 1970) e un altro ancor più noto della Premiata Forneria Marconi, pubblicato un po’ più in là. E il prog? A parere di chi scrive, e lo scrivo con mano tremante, si agita nel sottofondo, forse inconsapevolmente. E poi, di rock progressivo, all’epoca, nemmeno si parlava. Ma sì, una definizione di band prog, in fondo, non si nega a nessuno.

Postilla: trovai una ristampa in vinile di “Aardvark”, curata dalla teutonica Tapestry Records, a una fiera un anno e mezzo or sono a un prezzo più che buono. Nemmeno un pezzo di frustingu in omaggio, ma non si può avere tutto dalla vita.

Elenco tracce e samples

01   Copper Sunset (03:17)

02   Very Nice of You to Call (03:39)

03   Many Things to Do (04:22)

04   The Greencap (06:05)

05   I Can't Stop (05:29)

06   The Outing / Yes (09:39)

07   Once Upon a Hill (02:53)

08   Put That in Your Pipe and Smoke It (07:34)

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Altre recensioni

Di  Lewis Tollani

 La voce di Dave Skillin irrompe possente a duettare con le tastiere frenetiche di Steve Milliner che devono sopperire... alla mancanza di una chitarra... e incredibilmente non se ne sente davvero il bisogno.

 I nove minuti di "The Outing-Yes" triturano gli anni sessanta e li re-impastano in un anfetaminico schizofrenico rock ‘n’ roll che diventa un interminabile viaggio in un iperspazio psichedelico.