Cammino per le strade di una città sconosciuta. Nevica, è sempre più buio. Le strade che imbocco sono sempre meno illuminate. La nostra casa di un tempo si trova nell'ultima strada. Più in là è già campagna. Una notte senza la minima luce. Di fronte alla casa c'è un'osteria. Ci entro, ordino una bottiglia di vino. Sono l'unico cliente.
Le finestre della casa si illuminano tutte insieme. Vedo le ombre muoversi dietro le tende. Finisco la bottiglia, esco dall'osteria, attraverso la strada, suono al cancello del giardino. Non risponde nessuno, il campanello non funziona. Apro il cancello di ferro battuto, non è chiuso a chiave. Salgo i cinque scalini che conducono alla porta della veranda. Suono di nuovo. Due volte, tre volte. Una voce maschile domanda da dietro la porta:
- Cosa c'è? Che cosa vuole? Chi è lei?
Dico:
- Sono io, Claus.
- Claus, quale Claus?
- Non avete un figlio che si chiama Claus?
- Nostro figlio è qui, in casa. Con noi. Se ne vada.
L'uomo si allontana dalla porta. Ricomincio a suonare, busso, grido:
- Padre, padre, lasciatemi entrare. Mi sono sbagliato. Mi chiamo Lucas. Sono vostro figlio, Lucas.
Una voce femminile dice:
- Lascialo entrare.
La porta si apre. Un vecchio mi dice:
- Entri, dunque.
Mi precede nel salotto, si siede su una poltrona. Nell'altra sta seduta una donna molto vecchia, che mi dice:
- Allora, lei sostiene di essere nostro figlio Lucas? E dov'è stato finora?
- All'estero.
Mio padre dice:
- Proprio così, all'estero. E perché ritorni adesso?
- Per vedervi, Papà. Voi due, e anche Klaus.
Mia madre dice:
- Klaus non se n'è andato, lui.
Papà dice:
- Ti abbiamo cercato per anni.
Mamma continua:
- Poi ti abbiamo dimenticato. Non saresti dovuto tornare. Disturbi tutti quanti. Abbiamo una vita tranquilla, non vogliamo essere disturbati.
Chiedo:
- Klaus dov'è? Voglio vederlo.
Mamma dice:
- E' in camera sua. Come al solito. Dorme. Non bisogna svegliarlo. Ha solo quattro anni, ha bisogno di dormire.
Papà dice:
- Nulla prova che lei sia Lucas. Se ne vada.
Non li sto più a sentire. Esco dal salotto, apro la porta della camera dei bambini, accendo la luce. Seduto sul suo letto, un ragazzino mi guarda e si mette a piangere. I miei genitori accorrono. Mamma prende il ragazzino in braccio, lo culla.
- Non devi aver paura, piccino mio.
Papà mi afferra per un braccio, mi fa attraversare il salotto e la veranda, apre la porta e mi spinge giù per la scala.
- L'hai svegliato, razza d'idiota. Sparisci!
Cado, batto la testa contro uno scalino, sanguino, rimango coricato nella neve.
[...]
Saluta con gioia!