Il 2001 vede la nascita degli Adagio, siamo in terra francese e grazie a questi ottimi musicisti esce "Sanctus Ignis", album che fonde vari generi musicali tra i quali progressive e power metal in primis. Identificabili come punto di incontro tra i nostrani Labyrinth e gli americanissimi Symphony X, i nostri ci propongono in questo gustosissimo album ben 10 tracks nelle quali la componente prog prevarica su tutte le altre, determinando così un suono che a molti potrà sembrare freddo, dal momento che in più passaggi la tecnica prende il sopravvento sulle emozioni, ma andiamo ad analizzare le canzoni una ad una.
Il disco si apre con "Second Sight", canzone che ci mostra subito le qualità tecniche dei 5 componenti del gruppo: la song si muove su lidi prog/power e sono le chitarre di Stephan Forté a dettare regola in tutta la canzone. I numerosi cambi di tempo e di tonalità dell'ottimo vocalist oltre ad una bella atmosfera, vi faranno passare i 6 minuti e 7 secondi con molta velocità. La track numero 2 è rappresentata da "The Inner Road", ottima canzone che inizia con un solo di chitarra velocissimo e precisissimo: la struttura della song si presenta varia ed articolata, con punte vocali altissime e di elevato livello e con tastiere di grande effetto. Unico appunto alla batteria che secondo il sottoscritto utilizza troppo poco i piatti in favore di tappetti di doppia cassa un tantinello eccessivi. "In Nomine", terza canzone, è sicuramente la track più strana dell'album dal momento che si apre con una particolarissima tastiera dal vago sapore medioevale: quando però tutti gli strumenti attaccano, la song si fa molto più aggressiva, grazie anche all' apporto di un organo dal suono piuttosto tetro; questa volta i cambi di tempo si fanno meno frequenti, a favore di una maggiore linearità della struttura. Splendido l'assolo di chitarra verso fine canzone. 4° song ed ancora una volta presenza di un organo, questa volta però ciò non aiuta a fare di "The Stringless Violon" una canzone rappresentativa. Da considerare un pò come il punto debole dell' album, la canzone è comunque apprezzabile per ciò che riguarda le linee vocali e per i gradevolissimo assolo chitarristico centrale. Arriviamo così alla song più lunga dell'album: "The Seven Lands Of Sin", canzone bellissima che risulta essere aggressiva in alcuni punti e più evocativa in altri, sfruttando la sua lunghezza per sfoderare vari cambi di tempo, assoli e varie peripezie tecniche, tra le quali le migliori mi sembrano quelle eseguite dal piano forte. "Order Of Enil" è un altro dei pezzi forti dell'album, presentandosi come pezzo aggressivo e ricco di cambi di tempo e dove la chitarra torna ancora una volta a "ruleggiare": completamente strumentale la track scorre via piacevolmente e leggermente. La settima traccia, nonché title-track, mi sembra essere la canzone meno incisiva dell'album presentandosi come pezzo prog/power abbastanza classico e scontato che resta una buona canzone ma nulla di più. Torniamo a pestare forte con "Panem Et Circenses", sicuramente la migliore song del lotto, spettacolare e tetra, la canzone scorre via che è un piacere e tra cambi di tempo e tastiere cupe, quasi dark, il cantante ci offre un'esibizione canora veramente profonda e sentita. "Immigrant Song" si presenta ancora una volta come eccellente canzone ma questa volta molto più vicina ai territori power, con doppia cassa che gorgheggia ovunque ed assoli chitarristici a non finire. I 4 minuti e 54 di strumentali vanno via purtroppo in maniera eccessivamente veloce e ci conducono all'outro del disco "Message To Stephan Forté", track che purtoppo sa dell' incompiuto di Schubert (per intenderci quello che apre Angel's Cry degli Angra).
Dunque siamo arrivati alla fine dell'album, che pur non essendo un disco che resterà nella storia del metal, si presenta come un gran bel prodotto di alta qualità, che vanta un'ottima produzione ed anche un'eccellente esecuzione da parte di tutti i membri della band, apparte una quasi mancanza del basso.
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