Incredibilmente ancora non recensito su Debaser, il miglior lavoro di Celentano di sempre è (ormai) un pezzo da museo. Detto con benevolenza e riguardo. Perchè poi, diciamocelo, Celentano a parte due-tre album degni quantomeno di nota di grandi dischi non ne ha mai fatti: è sempre stato un artista da singoli, mai da album interi. Mai avuta coesione o unità, spesso dispersivo, quasi sempre pedante e borioso, con gli anni altezzoso e vieppiù scontato, sia nelle invettive televisive sia in quelle discografiche. Provate a prendere tutta la sua discografia degli anni '80 e dei primi anni '90, trovereste solo ciofeche assortite.

Eppure il '68, anno di transione e rivoluzione, portò benefici anche al nostro menestrello. Forte, fortissimo, di un singolo che scalò le classifiche nazionali con una facilità sconcertante (lato A "Azzurro"; lato B "Una carezza in un pugno") imbastisce un lavoro dignitosissimo, a tratti persino sorprendente. Celentano è sempre stato un rivoluzionario compassato, portò, insieme ad un gruppo di sodali, il rock in Italia, ma nella tradizione e nel conservatorismo ci ha sempre sguazzato. E questo disco ne è la dimostrazione: il democristianissimo Adriano lancia i propri strali contro i giovani e le mode nascenti, e dice "Torno sui miei passi" ("Sulla via del rock'n roll, mentre il mondo è tutto beat") ma, malandrino, si appresta a fare "Tre passi avanti", e scrive pure una letterina. Il brano in questione inizia con una specie di monologo:

"Caro Beat
Mi piaci tanto, virgola
Sei forte perché hai portato oltre alla musica
Dei bellissimi colori
Che danno una nota di allegria
In questo mondo pieno di nebbia, punto
Però se i ragazzi che non si lavano, virgola
Quelli che scappano di casa, virgola
E altri che si drogano e dimenticano Dio
Fanno parte del tuo mondo, virgola
O cambi nome o presto finirai"

Indubbio, però, che i due pezzi forti siano quelli del singolo. "Azzurro" nasce da una intuizione del giovane Paolo Conte, appena entrato nel Clan, siamo nel 1966. Il contratto a firma RCA volge al termine, non viene rinnovato e Conte punta sul Clan, che lo accoglie a braccia aperte. Clan di cui, col tempo è stato inquadrato meglio il contesto, Celentano la faceva da padrone, utilizzando modi severi persino, in alcuni casi, dittatoriali. Il Clan sono me, gli altri si accodino (ne sa qualcosa Don Backy). Per Celentano aveva già scritto la hit "La coppia più bella del mondo" ma il momento di svolta è l'incontro con il paroliere Vito Pallavicini. L'esilarante "marcetta" contiana stuzzica la mente del Pallavicini che s'inventa un testo tanto stralunato quanto perfettamente calzante col personaggio Celentano. Brano che secondo molti sarebbe stato destinato al fallimento. Dice Conte:

«Quando uscì 'Azzurro' ci fu una levata di scudi perché andava controcorrente rispetto ai ritmi dell'epoca. Sogghignarono in molti, ma io me ne infischiavo perché avevo applicato a quella canzone degli echi poetici che fanno parte della nostra sensibilità. Fui capito dal pubblico: 'Azzurro' ebbe un grande successo. Tutte le mie canzoni nascono con questo spirito: scrivere una musica un po' fuori moda, un po' segreta, che vada a cercare in fondo a noi le risonanze della nostra identità...»

Trionfo assicurato. "Una carezza in un pugno" fu il secondo successone, quello che segnerà il 1968 italiano, indelebilmente, con la figura di Adrianone. Pensato come lato A (poi "Azzurro" prevalse) è opera di Gino Santercole. Un bel po' di critici (i soliti veggenti) dell'epoca scrissero, in soldoni, che la canzone non avrebbe mai avuto alcun tipo di successo, dato che si trattava di un lento (con ascendenze western) a cui il pubblico non era abituato, o comunque non da Celentano. Ovviamente funzionò alla grandissima, e segnò, in qualche modo, la fine del periodo rock di Celentano, da qui in avanti più avvezzo alle ballate o ai pezzi più meramente pop. Di che parla? Di primo acchitto si direbbe di un uomo che pensa all'amata che sta con un altro. Ma Luca Sofri, nel suo "Playlist" (uscito nel 2008) ci dà una versione maliziosa:

"Lo avete capito, no, che è una canzone che parla di masturbazione? No? Bene: riascoltatela ora che ve l'ho detto"

Il disco è poi imbottito di alcuni classiconi del miglior Celentano, e qualche evitabile sciocchezza. "Eravamo in 100.000" parla di un tale che ha visto una tizia (che vorrebbe conoscere) mentre si giocava Milan-Inter a San Siro (anche se lo stadio, né oggi né figuriamoci all'epoca, sarebbe in grado di contenere 100.000 persone, ce ne sono almeno 20.000 di troppo), ma è un brano divertente, così come "La lotta dell'amore", nel 2008 parodiata dagli Elii, in combutta con Claudio Bisio, ne "La lega dell'amore". Con "Canzone" va a Sanremo, arriva terzo e pace sia.

La rivisitazione del Fred Nazionale con "Buonasera signorina" è un vezzo tipico dell'Adriano dell'epoca, quello che pensava di poter fare tutto al di là di ogni ragionevole dubbio. Gli viene anche bene, ma Buscaglione è un'altra cosa. Sempre e comunque.

Il resto oscilla tra il divertito e il leggerino -ino -ino, compresa la non irresistibile "30 donne del West", in un disco in cui Claudia Mori è comunque molto presente. Epperò, a conti fatti, è il suo disco migliore, quello in cui sono convolate tutte le idee e le energie migliori. Diciamo che il primissimo Celentano finisce tutto sommato qui, ne seguirà un secondo, e poi un terzo, e infine un quarto prolisso e cinematografaro (negli anni '70 e '80 è il campione nazionale del box-office, nonostante i suoi film siano tutti oscillanti tra il mostruoso e l'orrendo), ed è bello (almeno così la penso) ricordarlo vestito d'antan spanciato su una vecchia macchina degli anni che furono mentre passa un aereo che fischiettando se ne va.

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