"Tarots and the North" (dodici scritti abbinati ciascuno ad un Arcano Maggiore di Luis Royo)

I. Overture

Può apparire alla stregua di un ossimoro il voler parlare di progressive nordico appoggiandosi sull'arte di un illustratore spagnolo, ma la tensione degli opposti che alimenta le creazioni di quest'ultimo, in un fragile equilibrio di luce e tenebra, sono anche il cuore pulsante di tutta la scena musicale che ci apprestiamo a svelare, dove l'oscurità, l'alienazione e la pazzia convivono con la raffinatezza, la sagacia e, soprattutto, il fascino di un mondo inospitale ma invitante, custode di tesori d'inestimabile valore, alla portata dell'esploratore paziente e smaliziato che non teme di perdersi nei meandri della taiga e dei suoi suggestivi dintorni.

"Dikranoi" ci avrebbe chiamati Parmenide, con tono sdegnato, accusandoci di pronunciare stupidaggini degne di persone a due teste, convinte che l'"essere" e il "non essere" siano la stessa cosa, e alle sue spalle il fedele Zenone si sarebbe profuso in enfatici cenni di assenso, con un ghigno compiaciuto sul volto, indicando sia i folli perpetratori di tali forme d'arte sia noi ingenui curiosi, disposti a seguirli nei loro percorsi creativi, infischiandocene del principio di non contraddizione e cadendo in una spirale di paradossi insolubili. Se non che è proprio nel contrasto inconciliabile degli estremi che formazioni quali Änglagård e Anekdoten hanno trovato le giuste formule alchemiche per rivitalizzare un genere ferocemente screditato e spinto sull'orlo del baratro, ridotto da circa quindici anni a vagare stancamente come ombra di sé stesso nei panni usurati e sbiaditi del cosiddetto neo-prog.

È doveroso precisare quanto nei circoli esoterici, assiduamente frequentati dagli imperterriti accoliti della cultura progressiva, il movimento non abbia mai subìto tracolli vertiginosi, proliferando anzi nel sottobosco delle sempre più numerose categorie alternative; ciononostante sono servite le traduzioni svedesi degli antichi manoscritti di Re Robert per illuminare nuovamente l'ordine e renderlo appetibile agli occhi del grande pubblico musicalmente impegnato, stordito dalla pioggia torrenziale del pop "banausico" degli anni ottanta. Si verificano perciò nel primo lustro del decennio successivo una serie di debutti sconvolgenti, che riaprono la strada dell'esplorazione sonora "erudita" e proiettano i loro ispirati fautori nei fasti atemporali della leggenda.

Per quanto siano gli Anekdoten a fregiarsi del titolo di "Principe Cremisi" della famiglia reale, figurando nell'albero genealogico di corte, sono con somma probabilità gli Änglagård l'emblema universalmente riconosciuto della nuova era, grazie alla realizzazione di due opere eccellenti, la seconda delle quali, profeticamente battezzata "Epilog", custodisce le cronache di eventi arcani, sogni inesplicabili e contorti, materializzati dai lamenti funebri di un mellotron sopraffatto dalla tristezza ("Prolog") e sollecitato, all'ombra delle imponenti torri edificate dal vorticoso hammond di Thomas Johnson, dagli echi ipnotici di un flauto in procinto di scomparire nei toni caldi dei boschi autunnali, dipinti dalle crimsoniane chitarre di Tord Lindman e Jonas Engdegård ("Höstsejd")

Il duo, in veste acustica, attende l'estinguersi dei rabbiosi ruggiti del basso di Johan Högberg, riecheggianti nel crepuscolo di paesaggi onirici e nebbiosi, prima di richiamare il flauto di Anna Holmgren dal suo nascondiglio, intonando poi una serenata che tradisce una recondita agonia, dolce ma tragica (""Skogsranden"). Persino la batteria di Mattias Olsson, intenta a scuotere il terreno con sismi iracondi ("Sista Somrar"), spiando la scena, perde la propria ferocia e sprofonda nel buio impenetrabile di abissi spettrali, gotico teatro dei soliloqui di un piano tormentato dalla vacuità dell'esistenza ("Saknadens Fullhet"), osservato nelle sue struggenti elucubrazioni dal mellotron e dal violoncello che, commossi, ne compiangono l'amaro destino ("Rösten").

Quest'ultima traccia, presente nella riedizione del 2010, è un breve sigillo atto a sancire la pregevolezza di una carriera fulminea ma concretissima, sorgente di ricchi commentari a lezioni di maestri della statura di Genesis, King Crimson, Yes, Gentle Giant, per citare soltanto i più ovvi, e allo stesso tempo fonte di intuizioni senza precedenti, in un sincretismo dove le influenze si sentono ma non disturbano, sono e non sono, con buona pace del "venerando e terribile" Parmenide e della scuola di Elea e con il trionfo dell'identità degli opposti di Eraclito, il quale, austero e sprezzante, avrebbe aggiunto alla sua maniera sibillina: «Gli ignoranti non capiscono che ciò che è differente concorda con sé medesimo: armonia di contrari, come l'armonia dell'arco e della lira» e noi, in tutta risposta, gli avremmo offerto "Hybris" ed "Epilog", perché, ammettiamolo, se l'oscuro efesino fosse ancora tra noi, sarebbe un fan irriducibile degli Änglagård.

«This music is built on a very human base... ...through conflict.» (dal booklet di "Hybris")

Carico i commenti...  con calma