Gli Afterhours sono abituati ai terremoti, e negli ultimi tempi ne hanno subiti diversi.

L’abbandono di Ciccarelli (chitarra) e Prette (batteria), rimpiazzati rispettivamente da Stefano Pilia (Massimo Volume) e Fabio Rondanini (Calibro 35) che, a detta dello stesso Agnelli, ha colpito talmente tanto la band da arrivare vicinissimi ad uno scioglimento (“avevo praticamente lasciato il gruppo”). Un disco precedente, “Padania”, bello ma forse troppo sovraprodotto e troppo poco a fuoco (anche se episodi memorabili non ne mancavano).

Infine la bomba scoppiata poco prima dell’uscita di questo nuovo, doppio, “Folfiri O Folfox” (due tipi di trattamento chemioterapico utilizzati dal padre di Manuel Agnelli, che poi perse la battaglia contro la malattia): la partecipazione del frontman come giudice alla nuova edizione di X-Factor, che ha scatenato l’ironia e la ferocia dei fans più duri e puri (“l’alternativo è tuo papà”, come citazione, forse non era così abusata dal 1997).

Dopo tutto questo, arriva il nuovo lavoro che, bene sgombrare subito il campo da equivoci, è un grande disco. Probabilmente la miglior uscita della seminale band italiana dai tempi di “Quello Che Non C’è”, forse alla pari con quel gioiellino che fu “Ballate Per Piccole Iene”. Sicuramente più a fuoco di “Padania”, di certo qualitativamente superiore al mezzo disastro de “I Milanesi Ammazzano Il Sabato”.

Essendo un doppio di diciotto pezzi, la canrne al fuoco è tanta, e la si può vagamente riordinare in tre filoni diversi. Ci sono i brani marchio di fabbrica di Agnelli e soci: le due opener per esempio, una per disco. “Grande”, la prima, è puro distillato alla Agnelli: il cantato è sofferto, gridato, viscerale. Il pezzo è una ballad scarna e ficcante come un pugnale. La seconda, “Oggi”, vira su territori più delicati e si fa piacevolmente sporcare dal violino del sempre incisivo Rodrigo D’Erasmo. E poi il primo singolo ufficiale: “Non Voglio Ricordare Il Tuo Nome”, che mette in mostra un Manuel in forma stellare a livello lirico, è una ballad molto radiofonica, ma non per questo ruffiana. Ci ricorda che gli Afterhours sono stati capaci, e lo sono tutt’ora, di scrivere inni alla “Voglio una pelle splendida” senza mai cadere nel banale. Fanno parte di questo lotto anche la straziante “L’odore della giacca di mio padre”, più orientata verso la piano-ballad, “Noi non faremo niente” (gioiellino chitarra e voce, che dà una piccola anticipazione di cosa potrebbe significare un’ipotetica avventura solista del carismatico frontman) e la chiusura “Se io fossi il giudice”, classicone istantaneo destinato a divenire uno dei brani cardine della discografia di Agnelli e soci.

Del secondo filone, quello obiettivamente meno convincente, fanno parte le tipiche stilettate abrasive capitanate da uno Xavier Iriondo in buona forma, ma in lieve difficoltà nel sostenere una scrittura rock non sempre all’altezza. Convince poco il primo estratto promozionale “Il mio popolo si fa”, indubbiamente aggressivo ma davvero poco a fuoco, così come “Fra i non viventi vivremo noi” (che sembra presa di peso da “Padania”). Buoni invece sia il grunge di “Ti Cambia Il Sapore” e lo pseudo stoner (molto Queens Of The Stone Age) di “Qualche tipo di grandezza”, oltre alla circolare “Né pani né pesci”.

E poi ci sono i frammenti sperimentali che sovente tagliano la carne del disco, come se fossero lanciati lì apposta per aprire delle ferite da rimarginare: la titletrack è straziante, alienante. Parte su di un tappeto percussivo ossessivo, per poi rallentare e riprendere vigore nel finale. “San Miguel”, “Cetuximab” e “Ophryx” squarciano la forma canzone, disegnando paesaggi sonori ripetitivi e cantilenanti.

“Folfiri O Folfox” è un disco del quale si parlerà molto, per la ricchezza di contenuti e per l’esposizione mediatica che Agnelli avrà d’ora in avanti, che getterà inevitabile luce sulla produzione della band anche da parte di chi non sa di cosa stiamo parlando.


Per adesso, ci godiamo il ritorno alla forma di una band che, volenti o nolenti, ha fatto la storia dell’alternative rock italiano.

Miglior brano: Se io fossi il giudice


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