Stupendo debut-album per gli straordinari Agalloch, band statunitense proveniente dall'Oregon, un territorio pieno di foreste e sequoie secolari ("Agalloch" è l'antico nome di un tipo di sequoie). Ed è proprio l'amore per queste foreste (e per la natura in generale), uno dei temi portanti dell'album, al quale si aggiunge una sana dose di malinconia e riflessività.

La band è (dal mio punto di vista) uno dei migliori gruppi metal in circolazione, grazie all'innovativo connubio di doom e gothic (pensate ai Katatonia) con sonorità puramente folk (in stile Opeth). Questo mix è presente nella sua più compiuta forma nel qui recensito "Pale Folklore" (pubblicato nel 1999) piuttosto che negli altri 2 album della band ("The Mantle" più orientato sul folk e "Ashes Against the Grain" che presenta anche sonorità post-rock).

Su un sottofondo di vento compare un lento e malinconico arpeggio, che cresce via via di intensità fino a diventare un potente riff sul quale si innestano la batteria e il basso. E' questo l'incipit di "She Painted Fire Across the Skyline", lunga suit di quasi 19 minuti che occupa le prime 3 tracce dell'album. Segue una parte più lenta in cui compare il singolare canto di John Haughm (a metà tra uno scream black metal e un sussurro) a cui fa da contraltare un soave vocalizzo femminile (espediente che non sarà più utilizzato dalla band). La seconda parte della suite si apre con un etereo arpeggio di chitarra acustica a cui segue una parte più violenta che culmina in un lungo assolo di chitarra prima di tornare nuovamente alla calma. La terza parte si apre con un riff veloce e melodico allo stesso tempo e per pochi secondi John declama il testo con la sua voce normale prima di tornare allo scream. Da segnalare nella parte centrale del brano l'uso dei rintocchi di una campana per accompagnare la chitarra e la chiusura di pianoforte prima del ritorno del vento.

Dopo questo primo stupendo collage di sonorità si potrebbe pensare in un calo dell'album, cosa che invece non succede. Infatti dopo lo strumentale sinfonico "The Mishapen Steed" ci imbattiamo nei 10 minuti di "Hallways of Enchanted Ebony" una track che parte diretta con il riff portante, su cui se ne incrocia un altro più lento e meditativo, che rimane molto veloce per quasi tutta la sua durata, fatta eccezione per gli ultimi 2 minuti. Non si discosta molto da quanto detto "Dead Winter Days", nella quale però c'è maggior parte per la chitarra, che con i suoi innumerevoli assoli impreziosisce la composizione. Al contrario "AS Embers Dress the Sky" (già presente nel demo "From Which of this Oak" presenta un bellissimo inserto di chitarra acustica che divide a metà il brano, che si apriva e si chiude con le solite evocative chitarre elettriche. In chiusura di album c'è un'altra suite, questa volta di 12 minuti, "The Melancholy Spirit", in cui ancora più che negli altri brani viene fuori la componente folk. Il testo poi è qualcosa di spettacolare: un'invocazione all'amata regina dei boschi e il desiderio di poterla rivedere ancora una volta.

Insomma, un debutto clamoroso, incredibilmente evocativo e pregno di sonorità surreali e sognanti.

VOTO=9

Carico i commenti... con calma