Dio benedica il luogo dove tutto si incontra e dove le cose sono se stesse ma anche altro. Che il mondo si regge sia sulla differenza, sia su ciò che è comune. E questo molta musica, da sempre, ce lo ricorda.

Che la musica viaggia.

Per dire, come è possibile che una ballata italiana “”Il testamento dell’avvelenato” si trasferisca nelle terre celtiche diventando "Lord Randal" e da li passi negli States e un certo Bob Dylan la trasformi in “Hard rain gonna’s fall”?

Oh, è possibile, possibilissimo.. Del resto non è stato il signore stesso a dire: “andate e mischiatevi”?

Ecco, nei novanta ci si mischiava tanto. Forse era una moda, ma era bello sintonizzarsi su radio immaginaria e sentire chitarre stridenti accompagnare un canto da muezzin.,O sentire "Margit og Targiei Risvollo", traccia tre di questo magico disco.

Ecco, qui le cose si mischiano davvero tanto.

Immaginate qualcosa tra raga indiano, fredda elettronica europea e folk senza tempo.

Qualcosa che scorre sempre uguale e cresce senza crescere mai.

E, in quel qualcosa, immaginate qua e la suoni come lucciole nella notte, o come punte di spillo...e percussioni che scavano dentro... e incongruità di sassofoni in lontananza.

E una voce femminile, cristallina eppure scurissima, che canta in una lingua astrusa.

E un ritornello che imparate a riconoscere visto che, nei sedici minuti che passano dall'inizio alla fine (che poi quale inizio, quale fine?), si ripete spesso. Sedici minuti? Yes, sedici minuti...

Sedici minuti che passano in un attimo...

Comunque la voce è quella di Agnes Buen Garnas, e Agnes Buen Garnas è un nome bellissimo, ne converrete.

E fu proprio quel nome a farmi comprare il disco.

Quel nome, ma anche quel sottotitolo: "Medieval songs from Norway".

Che quello era il periodo in cui cominciai ad innamorarmi del folk.

E Jan Garbarek? Oh Jan Garbarek era solo un vago ricordo sepolto sotto i cumuli di cassette che il mio spacciatore di musica preferito faceva per me. Giusto qualche brano in un bel mistino C90. Una sorta di rifrangente ambient jazz, per quel che ricordavo.

Comunque Agnes, folk singer norvegese, proveniente da una di quelle belle famiglie di musicisti custodi di una intera tradizione, nel 1987 spedisce a Jan un nastro con delle vecchie ballate cantate senza accompagnamento.

E Jan, da subito colpito, ne studia per un anno i ritmi impliciti e le infinite possibilità, notando influenze balcaniche e levantine, oltre ad alcuni aspetti della melodia che sembravano essere non europei. Insomma quello che dicevamo all’inizio: la musica viaggia e le cose si mischiano.

Poi. pian piano, arriva una prima embrionale idea di quello che il disco deve essere: severità e durezza insieme a una specie di leggerezza fluttuante. Ovvero concetti opposti che finiscono per percorrere la stessa strada in virtù del loro legame con il selvaggio.

Forse è la scoperta dell’acqua calda, che le ballate folk son proprio quello da sempre: la durezza della realtà e il legame con il magico.

E comunque lo studio del folk porta Garbarek a essere folk con altri mezzi.

E' infatti l'uso di strumenti non ortodossi (percussioni elettroniche, sintetizzatori, sassofoni) a condurlo fuori dal tempo.

Sospeso, in compagnia della fida Agnes, a metà del ponticello che collega due mondi.

Il risultato lascia senza fiato:una sorta di continua ammaliante ipnosi e la sensazione di avere la magia a due passi da te.

Ritornelli favolosi tipo "tiril lirill lilill, augien min" su suoni argentati...ambient jazz sospeso accompagnato da macchine ritmiche...numeri alla Nico, o alla Dead can dance, su inqietanti tamburi marziali...celestialità accompagnata da rumorosa e infernale avanguardia...e, su tutto, la voce di Agnes Buen Garnas....

Andate, andate e mischiatevi...

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