Fratello: “Ehy, ma cos’è?”

Io: “Cos’è cosa?”

Fratello: “Senti qua, secondo me hanno fatto un album postumo di Janis Joplin”

Io: “Ah sì? Figata”

Fratello: “No no, guarda che non è Janis, questa qua è choccolatina”

Il mio “incontro” con Brittany Howard avviene proprio nel 2012, anno dell’album d’esordio degli “Alabama Shakes” e rimango interdetto per la presenza scenica e vocale della cantante e chitarrista di Athens.

Mi viene una gran voglia di acquistare l’album, “Boys and Girls”, all’istante, ma la mia rivenditrice di fiducia non lo trova ordinabile e devo attendere tre-quattro mesi prima di avere notizie rassicuranti in merito.

Si posiziona al primo posto dei CD da selezionare in auto nei miei tragitti giornalieri e “Hold on” diventa costantemente la mia prima traccia di una buona giornata.

Il mio incontro con Brittany Howard avviene nel 2015, anno in cui aprirono il concerto di Paolo Nutini al Lucca Summer Festival e nell’occasione trattengo le lacrime a stente dopo una proverbiale esibizione sulle note di “Be Mine”, una delle esibizioni live che più mi ha toccato in tutta la mia vita da ascoltatore.

“Boys and Girls” è un album riuscito in tutte le sue tracce. Gli ingredienti sono il sound strumentale del sud e la voce stentorea, come nei jubilee, della Howard, ne nasce un blues rock che ti trasporta con la mente negli anni ’60-’70. Oltre alla già citata frontwoman la band è composta anche da Zac Cockrell (basso), Heath Fogg (chitarra e cori), Steve Johnson (batteria, percussioni, cori) e Ben Tanner/Paul Horton (tastiere).

Album d’esordio, prima traccia, come cominciare? “Hold on”, tieni duro, resisti! La prima cosa che viene (De)cantata è “Bless my heart, Bless my soul, Didn't think I'd make it to twenty-two years old. There must be someone up above saying <Come on Brittany you got to come on up> / Benedici il mio cuore, benedici la mia anima, non avrei mai pensato di arrivare a 22 anni. Ci deve essere qualcuno lassù che dice <coraggio Brittany, devi sbrigarti>”.

Per me ci vuole un bel coraggio per cominciare così un album. Da sconosciuti.

Si continua con le ballabili “I Found You” (c’è qualcosa che addirittura mi rimanda ai “Beach Boys”) e “Hang Loose”, si passa per la trasognata “Rise to the Sun”, con un piano armonico fornito da un organo Farfisa, molto mellifluo, molto seventies, e interventi di chitarra tra l’arpeggiato/stoppato e con pennata clean, per arrivare al mio brano preferito “You ain’t Alone” (di cui allego un video live del 2011) in cui la pelle d’oca pervade anche i lobi delle orecchie.

La voce di Brittany è qualcosa di immensamente comunicativo ed emozionante: “You ain't alone, so why are you lonely? / Tu non sei sola, quindi perché sei solitaria?” e ancora “Are you scared what somebody gonna think? Are you scared to wear your heart out on your sleeve? Are you scared of me? … Cause I’m scared that love gonna take me away, But I really don’t know what I got to say / Hai paura di quello che penserà qualcuno? Hai paura di dimostrare i tuoi sentimenti? Hai paura di me? … Perché ho paura che l’amore mi porti via, ma non so proprio cosa dire”. Un’ugola d’oro che riversa in musica tutto il suo trasporto.

Minimalista é l’intermezzo di “Going to the Party” che antecede tre brani molto importanti: la vibrante e tormentata “Heartbreaker”, la soulful album track “Boys and Girls” e “Be Mine”, in cui si alterna il preciso falsetto e la grezza rabbia con cui si rivolge al suo uomo “So be mine, So be my baby, Just say alright, Forever and alright / Quindi, sii mio, quindi, sii il mio piccolo, basta dire va bene, per sempre e va bene” nel finale. Tutto molto convincente.

La bomba di “I ain’t the same” si antepone alla traccia di chiusura “On Your Way” che sussurra un “arrivederci”. Riff sulle corde basse della chitarra nella tracciatura musicale, batteria incalzante e orpelli di chitarra che viscosamente s’intersecano con l’arrochita voce della solista.

Un esordio da paura.

E no, non è Janis Joplin. E’ Brittany Howard. Lunga vita agli "Alabama Shakes".

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